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Come aiutare chi sta male? Cosa fare per alleviare il dolore di un amico o del partner in difficoltà

come aiutare chi soffre
Vuoi aiutare un amica/o o il partner stressato a causa di un momento difficile? Ecco cosa è più utile fare.

Probabilmente già ti è capitato di ascoltare il lamento di un amica, di un amico, del tuo partner o di un familiare in difficoltà. Hai "inquadrato" quasi subito il problema e ti sei sentito/a in dovere di illustrare la soluzione più razionale per risolvere la situazione. Tuttavia, nonostante i tuoi sforzi chi ti sta chiedendo aiuto non solo sembra non apprezzare il tuo consiglio, ma al contrario ti guarda con l'espressione di chi ti accusa di "non essere capace di capire niente". Volevi essere di aiuto, e ora hai la sensazione di aver solo peggiorato le cose. Mentre cerchi di capire cosa ha reso così inutile il tuo tentativo giuri a te stesso/a che d'ora in poi non ti "impiccerai" più dei problemi degli altri. Grazie ad un recente studio è ora possibile descrivere, in modo più scientifico, il motivo per il quale alcune forme di "consolazione" sembrano del tutto inefficaci. Nello studio sono state analizzate le correlazioni tra alcuni segnali fisiologici relativi allo stress e la maggiore o minore efficacia di diversi stili di supporto emotivo. Usando campioni di saliva ed analizzando i livelli di cortisolo, l'ormone dello stress, si è potuta valutare l'efficacia di diversi tipi di interventi di aiuto su basi organiche, quindi con maggiore oggettività. Il cortisolo è un ormone associato allo stress. La sua concentrazione aumenta con l'aumentare delle difficoltà. Se i livelli di cortisolo restano alti per lunghi periodi si possono verificare complicanze quali: malattie cardiache, mal di testa, problemi del sonno, compromissione della concentrazione e altri problemi di salute.

Quali sono dunque le cose più utili da fare per ridurre lo stress (e quindi anche abbassare i livelli di cortisolo) dei nostri amici, partner o familiari in difficoltà?

Quando un individuo è stressato è meno capace di decodificare messaggi ambigui o complessi. Ha bisogno di chiari segnali di conforto, come ad esempio contatto fisico e rassicurazioni e non è in grado di valutare suggerimenti sul da farsi fino a che i suoi livelli di cortisolo non sono diminuiti. Ha bisogno che il suo stato emotivo sia riconosciuto e compreso. Ci dobbiamo "mettere nei suoi panni" e provare, cercando di sopportarla, parte di quella sofferenza che vorremmo istintivamente zittire con un pragmatico consiglio razionale. Dopo aver provato un pezzo del suo dolore sarà quasi automatico dire una cosa del tipo "devi starci proprio male per quello che ti è successo ...". Se la nostra partecipazione emotiva è reale, il riconoscimento della legittimità della sofferenza altrui è uno dei migliori antidolorifici a nostra disposizione. L'altro non si sente più solo. Non più isolato nel dolore. Il canale è ora aperto, e l'uso di forme verbali e non verbali di comunicazione, come ascoltare e porre domande, stabilire un contatto visivo, annuire e toccare, favorirà la diminuzione dei livelli di cortisolo. Spesso però il dolore dell'altro, soprattutto se legato affettivamente a noi, ci spaventa. A causa del meccanismo di comprensione empatica mediato dai neuroni specchio sappiamo che un "ascolto vero" farà male e quindi siamo istintivamente portati a difenderci da una possibile sofferenza utilizzando lo scudo della razionalità. Tuttavia, il nostro interlocutore non è pronto a recepire informazioni né ad elaborare strategie cognitive. Il suo principale bisogno è di sapere che non è pazzo, cattivo o sbagliato se in quel momento prova emozioni distruttive come conseguenza di una specifica situazione di vita. Riconoscere la legittimità di uno stato emotivo negativo è il primo passo per abbassare i livelli di cortisolo. Tuttavia, un riconoscimento sincero di tale emotività passa necessariamente attraverso la sperimentazione diretta, mediata dalla fantasia o dalla memoria, di quel dolore. E questo richiede energia e un pizzico di sofferenza. L'istinto di dare il "consiglio giusto", in questa prospettiva, può essere interpretato come un meccanismo di difesa che ci tutela dall'immedesimarci nel dolore dell'altro. Più in generale, a meno che il consiglio non sia espressamente richiesto, è sempre meglio non darlo. Ed anche in caso di richiesta diretta, va comunque valutato lo stato emotivo e le capacità di poter assimilare informazioni cognitive da parte di chi fa la richiesta. Chi è sotto stress si trova al centro di una fitta nebbia, e da quel punto non può percepire in modo chiaro quali siano le opzioni disponibili, quali i vantaggi ed i rischi. Un ascolto empatico è la strada più breve per disperdere la nebbia o, fuor di metafora, per abbassare i livelli di cortisolo. Si, ma come faccio a capire se il mio ascolto è empatico? Semplice, se senti che stai soffrendo e sei arrabbiato/a per le stesse cose che fanno arrabbiare il tuo interlocutore, allora è probabile che il tuo ascolto sia "vero". Se non erro, in spagnolo "mi dispiace" si traduce con un più spontaneo "lo siento". Link Fonte