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Condividere il ruolo di caregiver fa male alla coppia?

Uomo impegnato con suo figlio
Secondo un recente studio i genitori che decidono di condividere l’attività di caregiving (cioè di prendersi cura di …) sono maggiormente esposti ai conflitti coniugali rispetto a quelli che decidono di delegare solo alla madre tale responsabilità.

I risultati hanno dimostrato che le coppie avevano un rapporto di co-genitorialità più forte e più solidale quando il padre era coinvolto esclusivamente nelle attività ludiche con il proprio figlio. Al contrario, quando l’uomo si dedicava ad attività tipiche di un caregiver come ad esempio preparare i pasti o il bagno del bambino, nella coppia erano più evidenti gli atteggiamenti competitivi a discapito della collaborazione.

Sarah Schoppe-Sullivan, co-autrice dello studio e professore associato di sviluppo umano e scienze della famiglia all’università Statale dell’Ohio, afferma che tali risultati sono stati una sorpresa soprattutto perché non supportano l’idea, al momento condivisa dall’opinione pubblica, che vorrebbe entrambi i genitori egualmente impegnati in ogni attività di cura dei bambini.

“Io non credo che questo significa che per tutte le famiglie la presenza di un padre coinvolto nell’attività di caregiving sia necessariamente una brutta cosa. Ma non è la ricetta adatta a tutte le coppie!

 

Si può certamente avere un solido rapporto di co-genitorialità senza per questo sentirsi in dovere di condividere ogni attività legata alla cura dei bambini” ha affermato Schoppe-Sullivan.

Lo studio compare nel numero di Gennaio 2011 della rivista Developmental Psychology.

Lo studio è stato progettato per testare come il coinvolgimento del padre nelle attività di caregiving influenza il rapporto di coppia in relazione alla co-genitorialità – in che modo si modifica l’interazione parentale quando i genitori sono entrambi attivi nel ruolo di caregiver.

Lo studio è iniziato con 112 coppie del Midwestern, la maggior parte dei quali erano sposate e avevano un figlio di 4-5 anni.

All’inizio ai genitori è stato somministrato un questionario per valutare quanto fossero coinvolti in attività ludiche (es.: passeggiate, gioco, coccole) e quanto in attività relative alla cura del piccolo(es.: preparare il pranzo, vestirlo/a o lavarlo/a).

I ricercatori hanno poi osservato la coppia per 20 minuti mentre assisteva il figlio nello svolgimento di due compiti: fare un disegno di tutta la famiglia e costruire una casa giocattolo con dei mattoncini componibili.

Questi compiti, troppo difficili per un bambino di 4-5 anni, sono stati scelti appositamente per dare ai ricercatori la possibilità di valutare il livello di collaborazione che i genitori riuscivano a raggiungere nel supportare il bambino.

In questa fase i ricercatori hanno esaminato i gesti di collaborazione, come ad esempio il reciproco supporto nel favorire il lavoro con il bambino, ma anche ogni attività che al contrario evidenziasse un atteggiamento di tipo competitivo. La tendenza cioè a “lottare” per dimostrare di essere il genitore più competente e quindi degno di maggiore considerazione.

A distanza di dodici mesi le coppie sono state invitate a tornare nel laboratorio per ripetere una sessione di osservazione con il loro bambino.

I risultati, a distanza di un anno, hanno mostrato chiaramente che quando i padri hanno mantenuto un ruolo importante nell’educazione dei figli, ma relegato al solo aspetto ludico, la coppia ha mostrato un maggiore livello di collaborazione e sostegno. Al contrario quando i padri si sono “intromessi” nella gestione della cura dei figli, “invadendo” il territorio della donna, la coppia genitoriale appariva come maggiormente competitiva e poco disposta alla collaborazione.

In base ai risultati Sarah Schoppe-Sullivan afferma che anche il sesso del bambino sembra essere un fattore rilevante : “quando i padri sono coinvolti nell’attività di gioco con i figli maschi le cose nella coppia vanno meglio rispetto a quando giocano con le bambine, al contrario la competizione tra i partner diventa più accentuata quando gli uomini decidono di prendersi cura dei figli di sesso maschile”.

I risultati dello studio sono rimasti costanti anche al variare di diversi fattori quali: il numero di genitori impegnati nel lavoro, il monte ore lavorativo, il reddito familiare, il livello culturale, la dimensione della famiglia e la durata del rapporto di coppia.

Va sottolineato però che lo studio si riferisce esclusivamente a coppie impegnate nell’educazione di bambini di età compresa tra i 4 e i 5 anni.

I risultati di questo studio convergono con altre informazioni provenienti da studi precedenti e portano Schoppe-Sullivan ad affermare che le madri sembrano agire come dei “guardiani” che facilitano o limitano il livello di coinvolgimento dei padri nel ruolo educativo.

Anche se il coinvolgimento dei padri è aumentato negli ultimi decenni, le madri sono di fatto maggiormente coinvolte nell’accudimento dei bambini, nonostante spesso siano impegnate fuori casa per lavoro anche a tempo pieno.

“Ci potrebbero essere, da parte delle madri, dei comportamenti ambivalenti nel permettere o meno ai padri di condividere il ruolo di caregiver. Ma anche i padri potrebbero essere altrettanto ambivalenti nel voler partecipare ad un impegno tanto gravoso” in ogni caso, anche se entrambi i genitori sono d’accordo nella condivisione piena delle responsabilità questo non li preserva dai conflitti relativi alla scelta delle modalità.

Se è la madre l’unica ad essere responsabile è anche l’unica a dover scegliere il modello educativo migliore. Se la responsabilità viene condivisa le opportunità di conflitto su come le cose vanno fatte aumenta.

In base ai risultati ottenuti Schoppe-Sullivan conclude affermando che “una effettiva co-genitorialità non significa necessariamente che entrambi debbano per forza partecipare ad ogni aspetto dell’educazione e della cura dei figli”.

Fonte: Ohio State University (2011, January 26). Sharing child caregiving may increase parental conflict, study finds.