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Impulsivi o razionali? Scopri come si comporta il cervello quando è costretto a scegliere.

Due cervelli in uno. Il nostro comportamento è determinato da due diversi sistemi, uno automatico e l’altro razionale.

C’è una lotta continua nel cervello tra due sistemi di gestione che si alternano alla guida delle nostre azioni. Il Sistema 1 è impulsivo, automatico e veloce mentre il Sistema 2 è ponderato e calcolatore, ma lento e costoso in termini di risorse.

Le loro interazioni determinano il modo in cui pensiamo, decidiamo ed agiamo.

Il Sistema 1 è la parte del nostro cervello che opera in modo intuitivo e automatico, spesso al di fuori del nostro controllo cosciente.
Ora stai leggendo queste righe ma, se a pochi metri da te senti un forte rumore, ti accorgi di aver girato la testa e puntato lo sguardo nella direzione del presunto pericolo molto prima di averlo deciso coscientemente.

Un altro esempio: è notte e stai guidando in una strada buia, un oggetto scuro entra nel cono di luce dei tuoi fari. Prima di ogni valutazione di tipo cosciente le tue mani hanno già agito sul volante per allontanarti dal presunto pericolo.

Il Sistema 1 è un’eredità del nostro passato evolutivo: ci sono enormi vantaggi nell'essere in grado di reagire velocemente agli stimoli del contesto ambientale.

Il Sistema 2 (2 perché è evolutivamente successivo al Sistema 1) è ciò a cui pensiamo quando ci immaginiamo nell'atto di pensare.
La vocina che non smette mai di parlare, che argomenta i pro e i contro di ogni possibile scelta è il Sistema 2.
Ma il Sistema 2 è anche la vocina che ad un certo punto ci dice “basta ora devo concentrarmi su cose più importanti”, cioè è la funzione mentale che coscientemente ci permette di decidere dove focalizzare l’attenzione.
Il Sistema 2 è inoltre responsabile dell’autocontrollo
 che spesso ci imponiamo per riuscire ad essere perseveranti nei nostri progetti.

Ora sto scrivendo queste righe. L’ho deciso utilizzando il Sistema 2 e sempre grazie al Sistema 2 vorrei poter continuare per almeno un’altra mezzora. Squilla il telefono. Il Sistema 2 vorrebbe ignorare, ma il Sistema 1 prende gradualmente il sopravvento suggerendomi tutti i possibili motivi per i quali è assolutamente urgente che io almeno controlli chi ha chiamato. Controllo il telefono e mi accorgo che non ci sono urgenze. Oramai sono in pausa. Sono già davanti al frigo alla ricerca di uno snack gustoso. Il Sistema 1 ha battuto il Sistema 2 per 2 a 0.

Altro esempio: immagina di cercare una donna in mezzo alla folla. La tua mente si concentra deliberatamente sul compito, ricorda le caratteristiche della persona e tutto ciò che potrebbe aiutarti a localizzarla. Questa concentrazione ti aiuta ad eliminare potenziali distrazioni: non noti più gli uomini, le persone troppo alte o troppo basse e tutto ciò che non è caratterizzato dal colore rosso del giubbetto che hai in memoria. Se mantieni la concentrazione aumenti incredibilmente le probabilità di raggiungere il tuo obbiettivo, ma se vieni distratto da un amico che ha voglia di chiacchierare allora avrai maggiori difficoltà.


La mente è pigra e quando può tende a fare economia di risorse.

Prova a risolvere questo problema di matematica:

Una mazza da baseball ed una palla costano 11 euro.
La mazza costa 10 euro più della palla.
Quanto costa la palla?

Il prezzo che molto probabilmente ti è venuto in mente è di 1 euro. Questo è il risultato del calcolo intuitivo ed automatico fatto dal Sistema 1, ed è chiaramente sbagliato! 

Prenditi un secondo e fai di nuovo i conti. Vedi il tuo errore? La risposta corretta è: 50 centesimi.

Quello che è successo è che il tuo impulsivo Sistema 1 ha preso il controllo ed ha risposto automaticamente facendo affidamento sull'intuizione. Ma ha risposto troppo velocemente.

Di solito, di fronte ad una situazione complicata il Sistema 1 passa il testimone al Sistema 2 per uscire dai guai ma nel problema precedente come, in tutte le situazioni che apparentemente sembrano semplici, il Sistema 1 si è fatto ingannare dall'apparente assenza di complessità. Ha ritenuto, erroneamente, di poter gestire le cose da solo.

Quando usiamo il nostro cervello, tendiamo ad utilizzare la minima quantità di energia possibile. Questa legge del minimo sforzo non è legata ad un atteggiamento di svogliata pigrizia ma alla necessità, selezionata da un processo evolutivo, di economizzare al massimo le risorse.

Poiché controllare i calcoli con il Sistema 2 comporta un significativo dispendio di energia e di tempo, la nostra mente non lo fa quando ritiene di potersela cavare con il solo Sistema 1.

Questa pigrizia congenita a volte è spiacevole, perché ci fa sentire stupidi, ma in alcuni casi, soprattutto in un contesto artificiale come quello tipico dell’uomo moderno, ci espone al rischio di cadere in vere e proprie trappole cognitive.


Pilota automatico e priming.

Cosa pensi quando vedi il frammento di parola “_ISA”? Probabilmente niente. 
Ma se ora leggi la parola “TORRE”? Probabilmente _ISA si trasforma automaticamente in PISA. Oppure, se leggi la parola “CREDITO” _ISA si trasforma in VISA. Questo processo è noto con il nome di priming. L’esposizione ad una parola, ad un concetto o ad un’immagine ci fa evocare automaticamente parole, concetti o immagini correlati.

Il priming è chiaramente un fenomeno inconscio ma ha il potere di influenzare anche le nostre azioni. Proprio come la mente è influenzata dall'ascolto di certe parole, anche il corpo può esserne influenzato. Un ottimo esempio di questo fenomeno lo si può trovare in un vecchio studio nel quale la semplice esposizione di soggetti ad una serie di parole legate al concetto di vecchiaia (rughe, pensione, dentiera, ecc…) ha avuto il potere di rendere il loro stile di deambulazione più lento rispetto al normale.

Quello che il fenomeno del priming svela con brutale chiarezza è che, nonostante ciò che molti sostengono, noi non siamo sempre capaci di controllare coscientemente le nostre azioni, i nostri giudizi e le nostre scelte. Siamo invece costantemente inondati da stimoli e condizionamenti di tipo sociale, relazionale e culturale.

In una ricerca, condotta da Kathleen Vohs, si dimostra che la semplice esposizione di immagini legate al concetto di denaro predispone le persone ad assumere un comportamento più individualistico. I soggetti che sono esposti al concetto di denaro si comportano in modo più egoistico, indipendente e sono meno disposti alla collaborazione e alla condivisione.


Giudizio rapido, pre giudizio e marketing.

La mente è spesso costretta a compiere delle scelte in tempi molto ristretti. Spesso le decisioni devono essere prese anche in assenza dei dati necessari. I pre giudizi altro non sono che strategie euristiche di previsione e valutazione del contesto.

Immagina di incontrare qualcuno ad una festa. Ti accorgi che sembra simpatico e che andate d’accordo. Mentre chiacchierate ti dice di essere un cuoco. Pochi giorni più tardi ti trovi al ristorante dove spesso pranzi durante la pausa di lavoro. Qui scopri che hanno bisogno di un nuovo cuoco e senza pensarci due volte raccomandi di assumere il signore incontrato alla festa.

Il tuo cervello ha ragionato basandosi sulla seguente euristica: se una persona è simpatica e cordiale allora è una brava persona, e una brava persona è anche capace e responsabile. Una persona capace e responsabile deve essere anche brava nel suo lavoro. Quindi se a me qualcuno sta simpatico sicuramente sarà bravo nel lavoro che fa.

Spesso approviamo o disapproviamo una persona basandoci su indizi non rilevanti. Per il nostro cervello è urgente definire nel minor tempo possibile cosa è buono e cosa è cattivo. Di chi fidarsi e di chi non fidarsi.

La tendenza della nostra mente a semplificare eccessivamente le cose senza informazioni sufficienti spesso porta a errori di giudizio. Questo fenomeno prende il nome di coerenza emotiva esagerata, o noto effetto alone

A causa dell’effetto alone molti predatori sentimentali (narcisisti) riescono a mimetizzarsi e a farsi voler bene e, di contro, molti timidi vengono accusati di eccessiva superbia.

Purtroppo questo non è l’unico modo in cui le nostre menti ci incasinano l’esistenza.

C’è anche il pregiudizio di conferma, cioè la tendenza delle persone a concordare con le informazioni che supportano le loro convinzioni iniziali. In pratica il pregiudizio di conferma agisce come una sorta di filtro che fa passare solo i dati coerenti con le ipotesi che già abbiamo in testa. Se qualcuno ci è simpatico allora ci accorgeremo solo di tutte le cose positive che fa e, di contro, non saremo capaci di vedere gli aspetti meno piacevoli.

L’effetto alone e il bias di conferma si verificano perché le nostre menti sono ansiose di esprimere giudizi rapidi e sono poco disposte a mettere in discussione i giudizi già espressi. Anche in questo caso la finalità è economica. Una valutazione superficiale ed approssimativa costa meno e si conclude prima di valutazioni più attente. Rimettere in discussione le valutazioni fatte è poi una delle cose più intollerabili per il nostro cervello, non solo perché è faticoso ma anche perché mette in evidenza che non tutti i nostri giudizi sono corretti. La mente non tollera il dubbio e l’insicurezza. Ha costate bisogno di verità, e una falsa verità è sicuramente preferibile all'ignoto.

Priming, effetto alone e pregiudizio (bias) di conferma agiscono a livello inconscio. Sono tre esempi di trappole capaci di ingannare il Sistema 1. Essere consapevoli di questi bug del nostro sistema di valutazione è assolutamente necessario per non vivere una vita caratterizzata da continue delusioni e frustrazioni.

Ma se questi meccanismi agiscono a livello inconscio, come faccio ad accorgermi di loro? In tutti e tre i casi i meccanismi si attivano perché il Sistema 1 presume di saper gestire le informazioni e non coinvolge il Sistema 2. Quello che possiamo fare è allenarci a riconoscere questi inganni. Più spesso ci alleniamo più facile sarà per noi riconoscere le trappole. E allora la prossima volta che guardate una pubblicità non cambiate canale, non vi distraete ma al contrario cercate di individuare tutti i trucchi che stanno usando per vendervi il prodotto.


L’euristica della sostituzione e l’euristica della disponibilità.

Il bisogno di decidere in fretta costringe il cervello ad utilizzare scorciatoie o trucchetti per semplificare i calcoli. Questi stratagemmi sono chiamati euristiche .

Per comprendere meglio cosa sono le euristiche e quali errori possono generare quando falliscono possiamo descriverne altri due tipi: l’euristica della sostituzione e l’euristica della disponibilità .

L’euristica della sostituzione avviene quando sostituiamo una domanda complessa con un quesito più semplice, ad esempio: “Mario è un bravo muratore?” Se Mario è muscoloso, beve birra economica e ha un metro in tasca allora si avvicina alla mia idea di muratore, al mio modello mentale. Arriverò a pensare che Mario è bravo perché avrò risposto alla domanda semplice “Quanto Mario rispecchia il modello che ho in testa di un muratore” tuttavia non avrò raccolto alcuna informazione sulle reali capacità di Mario, sul suo curriculum, sulle sue esperienze ed eventuali specializzazioni.
Quel medico sarà efficace nel curare i miei problemi d’ansia con l’omeopatia?
Ha il camice bianco, la sala d’aspetto è piena di persone e la segretaria ha le unghie curate. Deve essere proprio bravo!
Sto rispondendo alla domanda “Quanto successo ha (o mostra di avere) il medico?”
Non alla domanda “Quali sono le prove scientifiche che validano l’omeopatia come trattamento efficace per i problemi d’ansia?” Ed in effetti in alcuni casi l’unica cosa che possiamo fare è rispondere alla domanda facile. Spesso non abbiamo le competenze per capire che, ad esempio, l’omeopatia altro non è che lo sfruttamento a fini commerciali dell’effetto placebo (uno dei fenomeni più affascinante sul legame mente corpo).

L’euristica della disponibilità consiste nel sopravvalutare la probabilità di un evento sulla base del numero di volte che ne sentiamo parlare. Ad esempio la probabilità di essere colpiti da un sasso lanciato dal cavalcavia da qualche babordo è veramente bassa tuttavia ogni volta che un fenomeno di questo tipo accade viene raccontato talmente tante volte in televisione da farcelo apparire come un rischio significativo.

È interessante notare che siamo esposti agli errori legati all'euristica della disponibilità ogni volta che commettiamo uno sbaglio. La nostra mente infatti si comporta in modo simile alla cronaca nera, quando commettiamo un errore ci costringe a riviverlo mille volte ed a collegarlo con tutti gli errori del passato facendoci piombare in un mondo di incertezze e di pericoli dove la possibilità di fallire è enormemente sovrastimata.


Problemi con i numeri e con la statistica.

Come puoi fare previsioni realistiche su ciò che sta per accadere?

Un buon metodo consiste nel tenere bene a mente i dati relativi al fenomeno che ti interessa. Ad esempio immagina che nella tua città ci siano solo due colori di auto, il 20% sono di colore rosso mentre il restante 80% sono bianche.
Sei affacciato alla finestra e vuoi indovinare il colore delle macchine che girano l’angolo sotto casa tua. Passano cinque auto bianche, una di seguito all'altra. Devi indovinare il colore della prossima auto. Sarà un’altra auto bianca o una rossa?

Dopo cinque auto bianche l’istinto ti spingerà a credere che finalmente passerà un’auto rossa, tuttavia da un punto di vista statistico le probabilità rimangono invariate: 80% che sia bianca e solo il 20% che sia rossa.

Questo rapporto di probabilità (nel caso specifico 80% vs 20%) prende il nome di base line e il fenomeno estremamente comune che ci porta ad ignorarne l’importanza prende il nome di base-rate neglect.

Uno dei motivi per cui ci troviamo a ignorare il tasso di base è che ci concentriamo su ciò che ci aspettiamo piuttosto che su ciò che è più probabile. 

Facciamo anche fatica a ricordare che tutto regredisce verso la media . Cioè che le oscillazioni dei valori rispetto ad un valore medio finiranno per compensarsi.

Ad esempio se un giocatore di calcio, che realizza una media di cinque gol al mese, segna dieci gol nel mese di settembre attirerà su di se aspettative di prestazioni migliori. Tuttavia tali aspettative verranno presto deluse nei mesi successivi quando le sue prestazioni scenderanno sotto i cinque gol al mese.

Anche in questo caso ignoriamo la regressione verso la media perché che ci concentriamo su ciò che vorremmo piuttosto che su ciò che è più probabile.


Esperienza o memoria, cosa conta di più?

Noi siamo la nostra memoria, la somma dei nostri ricordi ci definisce.

Come stai ora? Si, proprio ora! Come ti senti?
Come stavi ieri? Eri felice, triste, avevi l’ansia o la depressione?
La memoria del tuo stato d’animo corrisponde con la qualità e l’intensità dell’emozione percepita realmente o sono due cose diverse?

C’è il  che sperimenta, che registra come ci sentiamo nel momento presente e che risponde alla domanda: “Come mi sento ora?”. Poi c’è il  che ricorda, che tiene traccia di come l’intero evento si è svolto dopo che è accaduto e che risponde alla domanda: “Come mi sono sentito in quell'occasione?”

Il sé che sperimentache vive, fornisce un resoconto più accurato di ciò che sta accadendo, perché le nostre percezioni durante un’esperienza sono sempre più dirette tuttavia è il sé che ricorda, quello meno accurato, che domina la scena.

La dimostrazione di questo fenomeno è stata fornita da alcune situazioni sperimentali. Ad esempio, in un celebre studio i soggetti che dovevano sottoporsi ad una colonscopia sono stati suddivisi in due gruppi, al primo gruppo è stato fatto un esame piuttosto lungo e accurato mentre al secondo gruppo un esame più superficiale ma con una fase dolorosa prima della fine.

La logica vorrebbe che i pazienti meno felici dovrebbero essere quelli del primo gruppo, perché hanno dovuto sopportare un dolore intenso per più tempo.
La logica però si basa sulla valutazione del se che sperimenta. In effetti la somma dei momenti sgradevoli è stata sicuramente maggiore per i soggetti del primo gruppo e ciò è dimostrato anche dai resoconti ottenuti durante le visite nei quali questi soggetti hanno segnalato livelli di dolore maggiori.
Tuttavia, dopo l’esperienza, è il se che ricorda a prendere il sopravvento e coloro che hanno dovuto tollerare il dolore per minor tempo, ma con una punta nella fase finale hanno ricordato l’evento come più brutto.

Ci sono due motivi per i quali il se che ricorda ha maggiore rilevanza del se che sperimenta, la prima è che nel ricordo si tende a dimenticare la durata di un evento, la seconda è che tendiamo a ricordare molto meglio la fase finale rispetto alle fasi intermedie.


Gestire i consumi energetici della mente per modificare pensieri e i comportamenti.

Le nostre menti utilizzano diverse quantità di energia a seconda del compito che stanno affrontando. Quando non c’è bisogno di mobilitare l’attenzione e basta poca energia, siamo in uno stato di agio cognitivo . Al contrario, quando le nostre menti devono mobilitare l’attenzione e sono costrette ad usare più energia entrano in uno stato di tensione cognitiva .

Questi cambiamenti relativi alla quantità di energia consumata dal cervello hanno effetti importanti sul versante cognitivo e comportamentale.

In uno stato di agio cognitivo, il Sistema 1 (quello intuitivo) è responsabile delle nostre azioni mentre il Sistema 2 (quello logico e più esigente in termini di consumo di energia) è assopito. Ciò significa che siamo più intuitivi, creativi e (spesso) più felici, ma abbiamo anche maggiori probabilità di commettere errori (e quindi di far durare poco la felicità).

In uno stato di tensione cognitiva, la nostra consapevolezza è più attiva. Il Sistema 2 è più pronto a ricontrollare le nostre scelte, rispetto a quanto normalmente fa il Sistema 1, quindi anche se siamo molto meno creativi (e meno felici), faremo meno errori.

La cosa interessante è che puoi influenzare consapevolmente la quantità di energia che la tua mente consuma per favorire l’attivazione di una specifica modalità cognitiva.

Ti accorgi di essere in tensione e vorresti rallentare? Basta focalizzare l’attenzione su stimoli sensoriali semplici e ripetitivi come la respirazione o il battito cardiaco e dopo pochi minuti la mente rallenterà il suo ritmo adattandosi agli input esterni. In alcune tecniche di meditazione l’obbiettivo viene favorito mediate la ripetizione di frasi o suoni.

Esporsi ad uno stimolo ripetuto è un buon metodo per attivare il Sistema 1, inoltre quando le informazioni vengono ripetute ed esposte in modo chiaro tendono a diventare più familiari e quindi più persuasive. Le nostre menti si sono evolute per reagire positivamente se esposte ripetutamente agli stessi messaggi chiari. Quando vediamo qualcosa di familiare, entriamo in uno stato di facilità cognitiva.

Di contro la tensione cognitiva è attivabile mediante l’esposizione a stimoli confusi e nuovi. Di fronte alle difficoltà le nostre menti si riattivano aumentando i livelli di consumo nel tentativo di comprendere il problema. Un modo semplice per riattivare il Sistema 2 consiste nel cercare di fondere volontariamente concetti e idee appartenetti ad un campo semantico con informazioni provenienti da campi semantici lontani da quello preso in esame (cucina/scarpe; bottiglie/tastiere; libri/verdura). In questo modo non solo stai riattivando il Sistema 2, ma stai anche favorendo i processi di neuro plasticità!


Il modo con il quale i dati, le probabilità e le statistiche vengono raccontati influenza fortemente le nostre opinioni.

Il modo con il quale giudichiamo le idee e affrontiamo i problemi è fortemente determinato dalla descrizione che ci viene fatta dei dati. Lievi alterazioni ai dettagli o al focus di un’affermazione o di una domanda possono cambiare drasticamente il modo con il quale affrontiamo la questione.

Un ottimo esempio di questo può essere trovato nelle scelte relative alla gestione del rischio. Banalmente potremmo pensare che la valutazione dei costi benefici sia un semplice calcolo matematico che fonda le sue certezze sulla concretezza dei numeri, tuttavia le ricerche ci raccontano un’altra verità. Sembra che per sballare i calcoli sia sufficiente modificare poche parole, o presentare i dati in un ordine piuttosto che in un altro.

Ad esempio, un evento raro viene considerato più probabile se descritto in termini di frequenza relativa piuttosto che come probabilità statistica.

In quello che è noto come l’esperimento del Signor Jones, a due gruppi di stimati psichiatri è stato chiesto se fosse il momento dimettere il signor Jones dall'ospedale psichiatrico. 
Al primo gruppo è stato detto che pazienti come il signor Jones avevano una “probabilità del 10% di commettere un atto di violenza” mentre al secondo gruppo è stato detto che “su 100 pazienti simili al signor Jones, si stima che 10 commettano un atto di violenza una volta dimessi dall'ospedale.” 
Sebbene i dati descrivano la stessa situazione oggettiva, quando raccontati in modo diverso portano a decisioni, e quindi ad azioni, diverse: quasi il doppio degli psichiatri nel secondo gruppo ha negato il congedo al signor Jones.

Un altro modo con il quale la nostra attenzione viene distratta da ciò che è statisticamente rilevante è chiamato “denominator neglect” (negligenza al denominatore) e si verifica quando ignoriamo semplici statistiche a favore di vivide immagini mentali.

Esamina le due affermazioni:
“Questo farmaco protegge i bambini dalla malattia X ma ha una probabilità dello 0,001% di sfregio permanente”
o “uno dei 100.000 bambini che assumeranno questo farmaco rimarrà permanentemente sfigurato”. 
Anche se entrambe le affermazioni sono simili, la seconda frase evoca l’immagine di un bambino sfigurato ed è molto più suggestiva, motivo per il quale i soggetti che si trovano a decidere se somministrare o meno il farmaco tendono a farlo con meno probabilità se ricevono questo tipo di descrizione.
Esiste un curioso ramo di studi sull'argomento ben descritto dal libro Uccideresti l’uomo grasso? Il dilemma etico del male minore a firma di David Edmonds.
Ma se hai fretta puoi dare un’occhiata su Wikipedia al dilemma del carrello.


Non siamo robot! Perché non facciamo scelte basate esclusivamente sul pensiero razionale?

È la razionalità a guidare le nostre scelte?

Per molto tempo, un gruppo di influenti economisti ha suggerito che gli uomini decidano (soprattutto in riferimento al campo economico) basandosi esclusivamente su argomenti razionali. Questa ipotesi prende il nome di Utility Theory (teoria dell’utilità attesa).
Secondo la teoria dell’utilità attesa gli individui decidono tenendo conto solo dei fatti razionali e scegliendo sempre l’opzione che garantisce il miglior risultato, la più utile, appunto.

Secondo la teoria dell’utilità gli individui si muovono come decisori ultra-razionali. Tuttavia questa teoria appare poco rappresentativa sia della quotidiana isteria dei mercati azionari sia del comportamento dell’uomo medio quando si reca a fare la spesa. Come scherno alla teoria dell’utilità, l’economista Richard Thaler e l’avvocato Cass Sunstein, hanno ribattezzato in seguito con il nome scherzoso di Econi questi ipotetici consumatori super razionali.

Se gli Econi valutano razionalmente la loro ricchezza, pesando solo il beneficio che questa fornisce loro è facile immaginare situazioni che mettono in evidenza la fragilità della teoria dell’utilità attesa.

Immagina due persone, Tizio e Caio, ed immagina che entrambe hanno 5 milioni di euro. Secondo la teoria dell’utilità, hanno la stessa ricchezza, il che significa che dovrebbero essere entrambi ugualmente soddisfatti delle loro finanze.

Ma cosa succede se complichiamo un po’ le cose?
Ipotizziamo che le loro fortune sono il risultato finale di una giornata al casinò, e che i due sono partiti da situazioni iniziali diverse: Tizio è entrato al casinò con un solo milione e ha quintuplicato i suoi soldi, mentre Caio è arrivato con 9 milioni, che sono diminuiti fino ad arrivare a 5. 
Pensi ancora che Tizio e Caio siano ugualmente contenti dei loro 5 milioni?

Improbabile. Chiaramente, quindi, c’è qualcosa di più nel modo in cui valutiamo le cose della pura utilità.


La teoria del prospetto: le decisioni apparentemente razionali sono spesso influenzate da fattori emotivi.

Un’alternativa alla teoria dell’utilità attesa è la prospect theory o teoria del prospetto, sviluppata da Daniel Kahneman.

La teoria del prospetto di Kahneman sfida la teoria dell’utilità attesa mostrando che quando facciamo delle scelte, non sempre agiamo nel modo più razionale.

Immagina ad esempio questi due scenari:
nel primo scenario, ti vengono dati 1.000 euro e devi scegliere tra ricevere un ulteriore compenso di 500 euro sicuri o la possibilità del 50% di vincere altri 1.000 euro. 
Nel secondo scenario, ti vengono dati 2.000 euro e devi scegliere tra una perdita sicura di 500 euro o una probabilità del 50% di perdere 1.000 euro.

Se facessimo scelte puramente razionali, opteremmo per la stessa scelta in entrambi i casi. Ma non è così. Nel primo caso, la maggior parte delle persone sceglie di prendere la cifra sicura (500 euro), mentre nel secondo caso la maggior parte delle persone decide di scommettere.

La teoria del prospetto aiuta a spiegare perché questo avviene evidenziando almeno due ragioni per le quali non sempre agiamo razionalmente. Entrambe fanno riferimento alla nostra avversione alle perdite: cioè alla tendenza a temere più le perdite di quanto valutiamo i vantaggi dei guadagni.

Il primo motivo è che valutiamo le cose in base a punti di riferimento (o ancore). 
Iniziare con 1.000 euro o con 2.000 euro cambia il punto di partenza che definisce il valore della nostra posizione iniziale. Il punto di riferimento nel primo scenario è 1.000 euro e 2.000 nel secondo, il che significa che finire a 1.500 euro sembra una vittoria nel primo caso, ma una sgradevole sconfitta nel secondo. In questo caso il nostro ragionamento è chiaramente irrazionale, giudichiamo infatti il valore più in riferimento al nostro punto di partenza che in base al dato economico oggettivo.

In secondo luogo, siamo influenzati dal principio della sensibilità decrescente: il valore che percepiamo può essere diverso dal valore effettivo. Ad esempio, passare da 1.000 euro a 900 euro non ci infastidisce tanto quanto passare da 200 euro a 100, nonostante il valore monetario di entrambe le perdite sia uguale. Allo stesso modo, nel nostro esempio, il valore percepito della perdita passando da 1.500 euro a 1.000 è maggiore di quello percepito nel passaggio da 2.000 a 1.500 euro.


L’immagine mentale del mondo non sempre è adatta a descrivere la complessità dei fenomeni che dobbiamo gestire.

Per comprendere le situazioni e muoversi nel mondo la nostra mente usa una serie di euristiche e di assunti tra i quali spicca per rilevanza quello relativo alla coerenza cognitiva, cioè alla tendenza a costruire immagini mentali semplificate e coerenti di un mondo che al contrario si ostina ad essere complesso e poco prevedibile.

Abbiamo molte immagini stereotipate, prone all'uso, per semplificare aspetti rilevanti del nostro contesto come, ad esempio, le condizioni atmosferiche. Abbiamo un’immagine per l’inverno, una per l’estate ecc… Se pensi alla primavera ti vengono sicuramente in mente splendide immagini della natura che rigogliosa si risveglia in tutto il suo splendore.
Tuttavia, al di là del valore evocativo e poetico, queste immagini sono anche alla base del nostro processo decisionale.
Quando prendiamo decisioni, facciamo riferimento a queste immagini e costruiamo le nostre ipotesi e conclusioni sulla base di esse. Ad esempio, quando scegliamo quali vestiti indossare in primavera, basiamo le nostre decisioni sulla nostra immagine mentale del clima di quella stagione.

Il problema è che riponiamo troppa fiducia in queste immagini. Anche quando le statistiche ed i dati disponibili non sono d’accordo con le nostre rappresentazioni mentali, lasciamo che le nostre aspettative ci guidino. In primavera, il meteorologo potrebbe prevedere un tempo relativamente fresco, ma potresti comunque decidere di uscire in pantaloncini e maglietta, poiché è quello che la tua immagine mentale ti suggerisce di indossare.

L’eccessiva sicurezza che concediamo alle nostre immagini mentali viene messa in discussione solitamente quando è troppo tardi. Il processo di valutazione cognitiva (previsione della classe di riferimento = “l’anno scorso mi sono preso un bel raffreddore a primavera” o gestione di una politica del rischio a lungo termine = “nel dubbio mi porto comunque una felpa con cappuccio”) si innesca quasi sempre come conseguenza di una discordanza tra la previsione fatta e la realtà delle cose.

Per approfondire l’argomento: Thinking, Fast and Slow / Pensieri lenti e veloci di Daniel Kahneman.