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Le prime ricerche

LA CULTURA PSICOLOGICA E PSICHIATRICA DOPO LA GUERRA

Dopo la seconda guerra mondiale il mondo si divide in due, in America una sola ideologia diventa possibile: l’anticomunismo. a scienza, intesa come tecnologia, e quindi come fonte per la produzione e diffusione di beni di consumo viene vista come salvifica dall'americano medio. Le donne, entrate massicciamente nei luoghi di lavoro con la guerra, ne sono espulse immediatamente dopo. La famiglia americana comincia a delinearsi come chiusa, intima, fondata su uno stretto rapporto tra genitori e figli e su una rigida divisione del lavoro tra padre lavoratore e madre dedita al focolare. Il clima psichiatrico americano è reso ancora più vivace e ottimista dall'incremento della psichiatria di comunità e dall'introduzione dei primi neurolettici, scompaiono in questo periodo i “reparti agitati” e quasi la totalità di pazienti diventa permeabile alle terapie.

Nota: Anche in Gran Bretagna si ha un poderoso sviluppo delle comunità terapeutiche e dei centri territoriali. Nel contesto anglosassone è fondamentale, per i successivi sviluppi della terapia familiare, il lavoro dell’antropologo George Brown il quale incuriosito dal costante fallimento dei progetti di re-inserimento in famiglia di pazienti che comunque potevano avvalersi di un adeguato sostegno sociale arriverà a teorizzare il concetto di “emotività espressa”.

   

GLI SVILUPPI DELLA TERAPIA FAMILIARE NEGLI ANNI 1950-1960

Tutte le terapie della famiglia sviluppate nel decennio condividono alcune caratteristiche di base.
  • Non sono terapie rivoluzionarie ne espressione di critica sociale, ma nascono all'interno della psichiatria spesso favorite, o tollerate, dall'ambiente ospedaliero o accademico. Gregory Bateson, per esempio, passa allo studio della schizofrenia perché così era più facile ottenere finanziamenti.
  • Conseguenza di ciò è che i pionieri della terapia familiare sono quasi tutti psichiatri (Nathan Ackerman, Murray Bowen, Don Jackson, Carl Whitaker, Ivan Boszormenyi-Nagy, Salvador Minuchin, Edward Auerswald ) ad esclusione di James Framo, psicologo e dell’assistente sociale Virgina Satir.
  • Le prime terapie della famiglia sono mirate al trattamento di gravi disturbi psichiatrici come la schizofrenia, e si caratterizzano per una spiccata connotazione scientifica e di ricerca.
  • Infine, è presente in tutti i pionieri un atteggiamento “eroico”, ognuno è convinto di aver scoperto le “vere” cause e le “vere” dinamiche alla base della patologia. Probabilmente a causa di ciò, cioè del ritenere la famiglia come la causa prima dei disturbi psichici, l’atteggiamento di questi terapeuti è molto combattivo, se non ostile, nei confronti dei familiari, dai quali i pazienti vanno “salvati”.

La genesi della terapia della famiglia come teoria, risale all'adozione delle teorie sistemiche e cibernetiche; prima ancora però la strada era tracciata dalla pratica delle consulenze familiari e matrimoniali che si erano sviluppate negli Stati Uniti.

Il nucleo di differenziazione però sta nell'idea che tutti i problemi siano problemi di relazione inter individuale e non possano essere capiti se ci si limita a considerare l’individuo. Le nuove terapie della famiglia sono ben diverse dalle consulenze che invece erano concepite come tecniche adatte per il trattamento di specifici disagi familiari o di coppia.

In sintesi si può affermare che ricerche sulla schizofrenia, epistemologia cibernetica e Child Guidance confluiscono dall'inizio nella terapia della famiglia; la consulenza matrimoniale si trasforma gradualmente, sotto l’impatto della terapia della famiglia, in terapia di coppia; l’assistenza sociale assorbe gradualmente, a sua volta, alcune tecniche terapeutiche. Piano piano, prima la consulenza e l’assistenza sociale si associano alla terapia di coppia, quindi confluiscono nella terapia della famiglia. La professione della terapia della famiglia deriva così dalla confluenza del paradigma dei sistemi familiari con le diverse professioni preesistenti e collaterali; in tal modo, il paradigma di partenza si è diluito.

 

I MODELLI

Dalle ricerche di questo decennio emergono le due tendenze che a lungo resteranno gli orientamenti principali della terapia della famiglia:

  • Da un lato ci sono i terapeuti che lavorano nella Child Guidance Clinic che si orientano verso la terapia della famiglia a partire dalla psichiatria infantile:
    • Nathan Ackerman con la sua terapia familiare analitica
    • Salvador Minuchin (allievo di Ackerman)
  • Dall’altra parte stanno tutte le terapie che derivano dalle floride ricerche sulla schizofrenia:
    • Don Jackson e Gregory Bateson danno vita alla prima terapia familiare congiunta che si può definire sistemica e che cerca di applicare alla terapia concetti ingegneristici e biologici quali omeostasi, ridondanza, e doppio legame.
    • Murray Bowen
    • Ivan Boszormenyi-Nagy
    • Carl Whitaker (terapia esperienziale)
    • Jay Haley, John Weakland e Milton Erickson dai quali si svilupperanno le terapie strategiche.

 

TERAPIE PSICOANALITICHE

 
NATHAN ACKERMAN

Ackerman è un analista newyorchese, di origini russe ma emigrato in America all’età di quattro anni. La sua formazione psichiatrica subisce una forte influenza a seguito di uno studio sul disturbo mentale nelle famiglie dei minatori colpiti dalla disoccupazione nel periodo della grande crisi del 1929. In questi contesti scopre quanto la situazioni economica possa favorire il disgregarsi delle regole, dei legami e anche della stessa stabilità emotiva degli individui. Nel 1937 è primario della locale Child Guidance Clinic, in questo periodo sperimenta, esattamente come Bowlby, ma senza sapere nulla del suo lavoro, che anche un solo colloquio con l’intera famiglia può sbloccare una situazione problematica che la terapia individuale non riesce ad intaccare. Nel 1938 scrive “The Unity of the Family”, nel 1957 fonda la Family Mental Health Clinic, e nel 1958 pubblica il libro “Psicodinamica della vita familiare”.

Ackerman ha una lettura delle relazioni familiari di stampo psicoanalitico, allo stesso tempo però introduce una prospettiva intergenerazionale e focalizza maggiormente l’attenzione sull'influenza del conteso. Crede nell'esistenza di processi inconsci familiari e nella possibilità che siano tali processi a far sorgere una sintomatologia nell'individuo scelto come capro espiatorio (concetto, quello di capro espiatorio, che quindi deriva più dalla tradizione psicodinamica di Ackerman che da quella comunicazionale di Palo Alto). La conflittualità è quindi di natura relazionale, ma almeno uno dei soggetti coinvolti, come adattamento al conflitto, cioè come meccanismo di difesa, la introietta; la terapia ha quindi lo scopo di recuperare il conflitto intrapsichico per portarlo a livello relazionale.

 
Le modalità di intervento sono:
  • Rieducazione e guida, che corrisponde alla metodologia usata dalla consulenza familiare proveniente dall'orientamento dell’assistenza sociale.
  • Riorganizzazione delle forme di comunicazione intrafamiliari, simile agli attuali interventi sistemici.
  • Risoluzione di conflitti patogeni mediante un approccio dinamico in profondità incentrato sulle dinamiche affettive della vita familiare.

Appare chiaro dunque, che lo stile non può più essere quello classico dell’ascolto passivo; il terapeuta della famiglia si trova ad interagire con un gruppo che se lasciato a se stesso metterebbe in atto, in seduta, le stese dinamiche patogene che ha sviluppato nel corso dell’evoluzione del sistema famiglia. Il terapeuta deve intervenire attivamente per far emergere i “conflitti interpersonali latenti”, portare cioè i conflitti interiori degli individui a livello di interazione familiare, deve inoltre neutralizzare la creazione di capri espiatori.

Stando a queste premesse, la figura del terapeuta entra pesantemente nelle dinamiche della terapia, la sua personalità, le sue emozioni, il suo carattere, in definitiva tutto il suo essere sono irrinunciabili fattori di cambiamento; da questo stile deriverà tutta una scuola terapeutica che vede come figura di maggior rilievo Salvador Minuchin.  

SALVADOR MINUCHIN

Salvador Minuchin nasce da una famiglia di ebrei russi immigrati in Argentina nel 1905. Arriva negli Stati Uniti nel 1950, dove a New York incontra Nathan Ackerman, il quale gli trova un lavoro nel centro di Psichiatria Infantile da lui diretto. Tra il 1952 e il 1954 è in Israele dove è direttore di un progetto di inserimento di bambini orfani ospitati in un kibbutz, successivamente ritorna in America per concludere la sua formazione psicoanalitica. In questi anni, per mantenersi lavora al Wiltwyck School for Boys, una struttura residenziale per giovani delinquenti.

Questa esperienza probabilmente sarà alla base delle sue successive scelte terapeutiche, infatti, primo fra tutti i terapeuti della famiglia si trova a dover lavorare con le famiglie nere della inner city di New York. In questo contesto la scelta della terapia familiare è facilmente giustificabile dall'osservazione empirica che usando la sola terapia individuale, i miglioramenti terapeutici ottenuti tendono a scomparire immediatamente dopo in reinserimento in famiglia.

Mentre gli altri terapeuti lavorano con famiglie tipiche della middle class americana, con soggetti capaci di espressione verbale articolata e di insight, Minuchin si trova ad affrontare individui e gruppi appartenenti all'ambiente del ghetto nero, dove l’interazione tende ad essere connotata da un atteggiamento concreto e orientato all'azione più che astratto e verboso.

È necessario dunque escogitare forme diverse di terapia, usare uno stile di comunicazione più vicina alle caratteristiche dei suoi pazienti; giochi di ruolo, interventi a domicilio e la “formulazione recitata” o “recitazione” (non solo dire qualcosa, ma rendere in messaggio più incisivo, facendo anche qualche cosa … mettendo in scena la comunicazione verbale ) saranno dunque le forme tipiche di intervento che lo definiranno.

Tutto questo avviene prima di essere entrato in contatto con altri membri della nascente terapia familiare, nel 1959 per la prima volta legge un articolo di Don Jackson a seguito del quale decide di istallare uno specchio unidirezionale e di avvicinarsi a questa nuova disciplina.

Nota: La storia di Minuchin, e l’evoluzione del suo stile è un caso eclatante di come le teorie e le tecniche, almeno nel caso della terapia familiare, si diversificano non tanto o non solo per via delle caratteristiche personali dei suoi ideatori, ma soprattutto in base al fatto che ogni idea teorica alla fine non è altro che la risposta ad un problema specifico che emerge in un contesto altrettanto specifico che lo definisce. Chiedersi quale sia la strategia migliore, o la tecnica più efficace all’interno del vasto repertorio di strumenti terapeutici elaborati da questa impostazione di pensiero è quindi forviante; appare qui in tutta la sua evidenza che le tecniche sono strumenti spesso costruiti ad hoc per determinate problematiche, quindi la scelta di una tecnica alla fine si riduce alla scelta dello strumento più utile per il caso in questione.

 
LA SCUOLA DI FILADELFIA, IVAN BOSZORMENYI-NAGY e JAMES FRAMO

Ivan Nagy nasce in Ungheria dove si forma come psichiatra per poi spostarsi negli Stati Uniti, dove nel 1957 è nominato direttore dell’unità di ricerca per il trattamento della schizofrenia all’ Eastern Pennsylvania Psychiatric Institute (EPPI). Nagy, come Ackerman, non è né eccentrico né marginale, ma è il capace amministratore di un istituto multi professionale e interaccademico di ricerca. Grazie a questa posizione riesce a riunire un gruppo molto corposo di collaboratori che renderanno il centro di Filadelfia uno dei punti di riferimento per tutto il pensiero sistemico; l’impostazione teorica è di stampo psicoanalitico e risente dell’influenza della teoria delle relazioni oggettuali di Fairbairn e delle teorie interpersonali di Fromm-Reichmann e Sullivan. James Framo, uno dei più significativi discepoli di Nagy, racconta così la sua esperienza all’EEPI :

Dal momento che i genitori erano così intrusivi, iniziammo a invitarli agli incontri di gruppo con i pazienti … basandoci sui comportamenti che osservavamo in questi incontri, ci venne l’idea di convocare intere famiglie. Il passo creativo qui fu quello di prendere ciò che in genere era considerato un’interferenza e usarlo per favorire il cambiamento terapeutico. Francamente in quel periodo, pensavamo alla famiglia come a una risorsa per aiutarci a trattare il paziente, non avevamo idea di essere sulla soglia di un’intera nuova teoria sulle relazioni umane, la formazione dei sintomi e il loro trattamento.

La scuola di Filadelfia completa il panorama delle terapie familiari psicoanalitiche: derivate in parte dalla psichiatria infantile (Ackerman, Minuchin), in parte dalla ricerca sulla schizofrenia (Nagy)

 

TERAPIE INTERGENERAZIONALI

 
BOWEN

Bowen è il primo di cinque figli di una famiglia della borghesia rurale del Tennessee, nel1937 si laurea in medicina e inizia l’internato a White Plains, nello stato di New York. Durante la guerra si arruola come ufficiale medico orientandosi verso lo studio della psichiatria; dopo la guerra passo alla Menninger Clinic di Topeka. Qui il lavoro con madri e figli lo porta a ritenere che il mondo interno dell’individuo non sia sufficiente per comprendere la schizofrenia. Nel 1954 si trasferisce al NIMH di Washington dove inizia progetti di osservazione familiare ricoverando intere famiglie. Il lavoro sulla diade madre figlio e sull’influenza degli altri familiari porta Bowen ad alcune intuizioni fondamentali:

  • Il rapporto madre figlio non è statico ma fluttuante, l’ansia passa liberamente dall’uno all’altro
  • La diade non è che una parte del triangolo, che comprende anche il padre. Infatti da osservazioni più attente, la figura del padre che spesso veniva liquidata come distante, risulta assai più complessa. Di lì a poco, Bowen concluderà che il triangolo è l’elemento costitutivo di tutte le relazioni umane.
  • In questo periodo,Bowen sviluppa il concetto di massa e indifferenziata: il concetto definisce il grado di fusione relazionale nelle famiglie in cui i singoli membri sono incapaci di definirsi rispetto agli altri e quindi di mantenere un punto di osservazione obiettivo. Il processo di uscita dalla fusione prende invece il nome di differenziazione, concepita come una costante lotta per autodefinirsi e individualizzarsi.
  • I sintomi nascono come risultato di un processo multi generazionale, ci vogliono tre generazioni per fare uno schizofrenico.

Nel 1958, Bowen abbandona il NIMH e si trasferisce a Washington dove lavorerà fino alla morte. Nella sua pratica privata mantiene l’orientamento familiare, continua a fare terapie individuali, terapie di coppia, e terapie del gruppo familiare; gli individui sono seguiti con metodo sostanzialmente psicoanalitico, con le coppie cerca di far parlare ciascuno dei membri delle proprie emozioni, sollecitando l’altro ad intervenire mentre con le famiglie adotta la procedura della terapia del gruppo familiare.

Nota: Bowen chiamerà la sua teoria “teoria dei sistemi familiari”, ma il termine sistemi non fa assolutamente riferimento alle teorie cibernetiche e sistemiche che al contrario non lo entusiasmavano affatto.

 

TERAPIE SISTEMICHE E STRATEGICHE

 
LE RICERCHE SU SCHIZZOFRENIA E FAMIGLIA

Ciò che rende possibile terapie della famiglia è uno spostamento d'accento dalle dinamiche interiori a quelle interpersonali, favorito dal clima culturale psichiatrico già descritto. All'interno del paradigma che si va delineando, assume grande rilievo alla ricerca sulla schizofrenia ,ci sono però anche gruppi di ricerca che non si pongono il problema della terapia, ma sono piuttosto interessati a comprendere il "come" della schizofrenia. Questi nuovi ricercatori cercano di superare il punto di vista dell'interazione duale per concentrarsi sulle modalità della comunicazione schizofrenica. A questo scopo, iniziano a osservare persone schizofreniche nel interazione con altri e soprattutto con i familiari. Per molti versi, la storia delle origini della terapia sistemica è la storia di come queste ricerche sulla famiglia si trasformino in terapie.  

LYMAN WYNNE e THEODORE LIDZ

Psichiatra e psicoanalista, Lyman Wynne eredita la direzione della ricerca di Bowen, quando questo abbandona il NIMH. Nel 1958 lavorando con queste famiglie elabora il concetto di “pseudo mutualità”. Si tratta di una modalità relazionale patogena, in cui i membri delle famiglie di schizofrenici si sforzano di mantenere un'apparente uniformità. Ogni divergenza potrebbe disgregare l'unità della famiglia e deve perciò essere evitata, ma se si evitano le divergenze non è possibile uno sviluppo dei rapporti come nella vera mutualità familiare. Ognuno invia e ricevere messaggi in qualche modo "falsi": tutti ne capiscono il senso, ma nessuno parla in modo esplicito. Wynne (1961) propone poco più tardi per queste stesse famiglie il concetto di “pseudo ostilità”, un comportamento in cui nella famiglia appare una scissione, che rimane però limitata a un livello superficiale. In questo stesso periodo (1951)Theodore Lidz alla Yale University, costituisce un piccolo gruppo di ricercatori che studiano, applicando rigorosamente i concetti della psicanalisi, un piccolo gruppo di quattordici famiglie di giovani pazienti schizofrenici ricoverati presso l'istituto. Nel 1957 arrivano a concettualizzare due situazioni tipiche: lo "scisma coniugale” e il "matrimonio obliquo". Lo scisma coniugale e si riferisce a matrimoni caratterizzati da conflitti fra i partner, le cui difficoltà personali e conducono a soddisfare i propri bisogni personali e ignorando quelli dell'altro. Il matrimonio obliquo identifica invece situazioni nelle quali uno dei partner presenta una chiara psicopatologia ma resta la figura dominante, accettata dall'altro coniuge perché soddisfa bisogni di dipendenza e masochismo; il conflitto quindi è inesistente, anzi c'è sostegno reciproco fino a creare situazioni di "follia", o addirittura di "follia familiare", quando l'ideazione distorta del coniuge dominante condivisa a pieno titolo da tutta la famiglia. Il modo dei genitori di mettersi in relazione tra loro e con i figli altera la rappresentazione di realtà del futuro psicotico. Paradossalmente però, l'impulso più forte verso le ricerche sulla terapia della famiglia viene invece da un gruppo che in origine non si propone di studiare né la schizofrenia né tantomeno la famiglia, ma che nasce semplicemente per occuparsi di comunicazione: quello costituito a San Francisco da Gregory Bateson.  

IL GRUPPO DI GREGORY BATESON

Già s'è detto del ruolo centrale di Gregory Bateson nella definizione della cibernetica, e soprattutto della sua applicazione alle scienze sociali e alla psicologia.

Nel 1952 Bateson ottiene un finanziamento dalla Rockefeller Foundation per studiare la natura della comunicazione, è in questo periodo che concepisce l’idea di usare il concetto di “idee gerarchiche ” appartenente alla filosofia di Bertrand Russell e applicarlo non più alla logica, ma alla comunicazione. Secondo questa visione, in qualsiasi comportamento comunicativo, ogni messaggio è qualificato da un meta messaggio ( che sta ad un livello logico diverso dal messaggio) e permette di capire il contesto del messaggio stesso.

Per il progetto riunisce un gruppo formato da un ingegnere chimico, John Weakland, un aspirante scrittore, Jay Haley, e un medico psichiatra William Fry. Nel primo biennio il gruppo si occupa soprattutto di comunicazioni ambigue, ovvero di messaggi e meta messaggi che si squalificano a vicenda ponendo il ricevente in situazione paradossale; simili ai paradossi classici della filosofia quali l’affermazione “io sto mentendo” alla quale non sembra possibile attribuire un valore di verità definitivo. I contatti con gli schizofrenici evidenziano la particolare abbondanza di comunicazioni paradossali e la situazione di indecidibilità nella quale spesso vengono a trovarsi tali soggetti.

Tra le idee sviluppate dal gruppo in questo periodo vanno ricordate:
  • La definizione di più livelli nella comunicazione implica che ogni messaggio è leggibile solo in un contesto e il contesto è dato da un altro messaggio di ordine gerarchico superiore. La capacità di comprendere i meta messaggi è frutto del deutero-apprendimento, cioè di un apprendimento di secondo ordine.
  • I messaggi non sono comunicati solo a parole, ma attraverso una molteplicità di canali, verbali (digitali) e non verbali (analogici).
  • L’interazione può caratterizzarsi come simmetrica o complementare: è simmetrica quando le differenze sono ridotte al minimo (nella guerra fredda la Russia e gli Usa si sono sforzate entrambe per ampliare l’arsenale bellico), è complementare quando l’equilibrio è fondato sulle differenze (come nel rapporto tra madre neonato)

Allo scadere dei finanziamenti, Bateson si accorge che le teorizzazioni del gruppo, per quanto significative, non raccolgono l’interesse dei finanziatori, quindi per ottenere fondi decide di concentrare le sue ricerche sulla comunicazione nella schizofrenia, campo di indagine che a quel tempo sembrava essere più attraente per gli “sponsor”.

Presenta dunque il suo progetto alla Macy Foundation, ed è a questo puto che incontra lo psichiatra e psicoanalista Don Jackson.

Attraverso osservazioni condotte su casi individuali arriva a definire il concetto di “doppio legame”; chi cresce in un contesto di deutero-apprendimento in cui riceve messaggi intrinsecamente contraddittori, in cui finisce per essere punito, qualunque cosa faccia o non faccia, è comunque obbligato a trovare un modo di sopravvivere.

I sintomi della schizofrenia, allora, possono essere considerati la punta dell’iceberg di una comunicazione interpersonale in cui per le persone è difficile trovare un senso.

L’ipotesi del doppio legame non deriva quindi da osservazioni dirette della famiglia, inoltre, a causa di un eccessiva fretta nella sua divulgazione al mondo accademico, avvenuta nel 1959 con l’articolo “Verso una teoria della schizofrenia”, tale ipotesi mostra il fianco a numerose critiche, soprattutto da parte di chi tendeva a considerarla colpevolizzante come lo era stata l’ipotesi della madre schizofrenogena in precedenza.

Forse per ovviare a tali mancanze, nel 1956, il gruppo recluta 25 famiglie per un ciclo di terapie congiunte, avvalendosi di strumenti tecnologici (in quel contesto storico) quali l’audio e la video registrazione a scopo di ricerca.

In questa fase è fondamentale il contributo di Jackson che:
  • Ipotizza l’uso del doppio legame come strumento terapeutico, costruire doppi vincoli benigni allo scopo di “allenare ” il paziente a liberarsi di quelli, ben più potenti, che lo imprigionano.
  • Riformula in modo più rigoroso l’idea di omeostasi familiare. Se si considera la famiglia come un sistema chiuso, la sua tendenza sarà di mantenere costati i propri parametri interattivi, anche a spese di uno o più membri. La retroazione negativa è il concetto che può spiegare la tendenza delle famiglie e degli altri sistemi sociali a mantenere una configurazione stabile. Il soggetto schizofrenico, in questa chiave, non sarebbe altro che il massimo rappresentante e insieme la vittima dell’omeostasi.
  • L’omeostasi rende ragione dei motivi strutturali per cui in una famiglia ha senso che ci sia una persona schizofrenica.

Il gruppo di Bateson, con gli anni perde coesione; da un lato c’è lo stesso Bateson che tende a vedere la famiglia come un insieme unitario ma fluido di processi di comunicazione, dall’altro c’è Haley che inizia a sviluppare una visione gerarchica dei sistemi e prende a considerare la lotta per il potere come la chiave principale di analisi delle relazioni umane. Nel 1962, il gruppo si divide, Bateson abbandona la psichiatria per dedicarsi all’etologia, mentre Jackson, Haley e Weakland confluiscono nel Mental Research Institute (MRI).  

TERAPIE SISTEMICHE

 
DON JACKSON E IL MRI

Per non disperdere il patrimonio terapeutico che si va accumulando all'interno del gruppo di Bateson, Jackson fonda a Palo Alto, nel 1959, il Mental Research Institute (MRI), piccolo istituto privato con lo scopo dichiarato di studiare e formalizzare un metodo di terapia della famiglia (tra i membri del personale c’è anche la terapeuta Virginia Satir, si uniranno a loro, tre anni più tardi, anche Haley e Weakland).

Tra il progetto Bateson e il Mental Research Institute non c'è mai stato alcun rapporto, escluso il fatto che Jackson era contemporaneamente consulente a metà tempo del progetto Bateson e direttore del MRI e della contiguità logistica: per un breve periodo i due progetti condividono la stessa sede a Palo Alto.

Il lavoro di Jackson permette di sviluppare una serie di strumenti tecnici per la conduzione delle sedute, in primo luogo, va segnalato l'uso dello specchio unidirezionale (preso da Charles Fulweiler) e del lavoro di equipe. Per quanto l'uso dello specchio derivi soprattutto da motivi di ricerca, la sua esistenza è il suo stesso impiego cambiano la forma stessa della terapia. Lo specchio, in certo modo, crea anche l'equipe terapeutica nel senso di un'equipe che lavora sulla famiglia come se fosse un unico terapeuta.

La concezione di Jackson è eminentemente funzionalista. Il sintomo del paziente riveste, nel sistema familiare, una funzione vitale nel bilanciare le relazioni fra i membri: la "funzione" della persona sintomatica è quella di avere problemi; la sua presenza permette inoltre agli altri di non esibire difficoltà palesi. È quindi inutile concentrarsi sul individuo sintomatico senza prendere in considerazione tutti gli altri. A questo punto, lavoro terapeutico primario diventa cercare di capire in quale contesto il comportamento folle potrebbe acquisire un senso ragionevole per l'osservatore esterno. In questa chiave, la massima attenzione deve essere prestata a quello che le persone fanno, più che a quello che dicono, e soprattutto quello che non fanno e non dicono, ai divieti impliciti nelle regole della famiglia.

L'attenzione si centra sui pattern, sulle forme della comunicazione proprio come le idee di doppio legame, omeostasi e regole familiari non si occupano di "che cosa" passi nell'interazione, ma del "come". L'interesse di Jackson e dei suoi collaboratori per il "qui e ora", conduce la terapia sistemica verso la famiglia nucleare, la famiglia che si può osservare qui e ora all'interno della seduta.

Di qui discende l'adozione di una tecnica di conduzione centrata sull'interruzione delle sequenze in seduta, che sfrutta i suggerimenti dell'osservatore dietro lo specchio.

Il lavoro terapeutico si concentra sul cercare nuove ridondanze nella famiglia, da cui possono emergere nuove regole che liberino il paziente dal suo ruolo omeostatico. A questo scopo, può essere utile per i terapeuti usare comunicazione paradossali uguali e contrarie a quelle osservate nella famiglia (il "doppio legame terapeutico").

Così il modello di Palo Alto si definisce nelle sue linee essenziali:
  • Dell'atmosfera sperimentale e di libera ricerca in cui era nato conserva lo spirito di curiosità, il desiderio di imboccare strade nuove.
  • Dallo studio della comunicazione deriva l'assunto che i comportamenti umani sono comunicazione, non conseguenze di quanto avviene "dentro" le persone.
  • Dalla cibernetica, l'idea che vadano studiate sequenze di azioni e non azioni isolate.
  • Dal movimento di de istituzionalizzazione viene l'attenzione costante al contesto, oltre alla volontà di affrontare i grandi problemi della psichiatria, le psicosi e in primo luogo la schizofrenia.
  • Dalla psicoanalisi deriva una definizione in negativo: la nuova terapia deve essere tutto quanto la psicanalisi non è; in particolare la terapia sistemica, in tutte le sue varianti, nega per principio l'importanza dell'insight, ovvero della comprensione delle proprie dinamiche interiori, per il cambiamento dei clienti.
  • Da terapeuti eccentrici, come Erickson e Rosen, deriva l'idea di intervenire sul qui e ora della seduta per cambiare le interazioni nel qui e ora.

 

TERAPIE STRATEGICHE

 
MILTON ERIKSON
Nato nel Nevada, nel 1899, Erikson segue la famiglia a est quando si stabilisce nel Wisconsin. Erikson nasce con molte più limitazioni della media delle persone: dislessico, daltonico è affetto da sordità tonale. Da simili vicende trae la sincera convinzione che ogni limitazione non è altro che una costruzione mentale, che le risorse degli esseri umani sono superiori ai loro limiti e comunque molto maggiori di quanto in genere non pensino i terapeuti.

Si laurea all’Università del Wisconsin in psicologia e successivamente inizia a interessarsi dell'ipnosi. Trasferitosi all'Università del Colorado, si laurea in medicina e si specializza in psichiatria. Nel 1930 è assunto come psichiatra e in breve tempo diventa primario del servizio di ricerca psichiatrica. A causa di una salute cagionevole gli è indispensabile vivere in un clima caldo e secco che troverà a Phoenix, nell'isolata e torrida Arizona, dove abbandona tutte le attività pubbliche. Nonostante si trovi in una posizione tanto periferica riesce comunque a stabilire e mantenere contatti assai significativi.

È già un ipnotista di nome nel 1938, quando Bateson entra in rapporto epistolare con lui per approfondire lo studio di alcune forme di trance, per poi invitarlo alla famosa conferenza sull'inibizione cerebrale nel 1941.

Quello che Erikson ha da offrire, a differenza di tutti terapeuti familiari del periodo, non è una teoria ma:
  • Una visione degli esseri umani positiva dove l'accento è posto sempre sulle risorse più che sulle patologie.
  • Anche lo stile di osservazione è particolare. Erikson presta la massima attenzione a tutti gli aspetti del linguaggio, verbali e non verbali. Ciò è in parte dovuto alla sua formazione di ipnotista: nell'introduzione della trance è essenziale non soltanto che cosa li ipnotista dice, ma anche la sua scelta di vocaboli, il tono di voce, i movimenti. Per quanto sia il gruppo di Bateson a teorizzare i canali della comunicazione, è Erikson a fondare su essi una prassi clinica.
  • Il mettere in primo piano la strategia nella terapia: fare piani, cercare soluzioni eccentriche e inaspettate per condurre i clienti nella direzione voluta. Anche l'attenzione alla strategia gli viene dalla pratica dell'ipnosi in cui è comune l'uso di tecniche di spiazzamento e dislocazione dell'attenzione, ma è suo merito averla usata al di fuori dell'induzione di trance.
  • L’uso di un linguaggio colorito e metaforico, che ha lo scopo di convogliare significati ambigui ai clienti; questi ultimi sono così forzati a scegliere di propria iniziativa i significati da dare agli stimoli ambigui del terapeuta, e a crearsi in tal modo le proprie soluzioni.
  • Deriva da lui anche l'uso di prescrivere "compiti a casa", utilizzati non per il loro contenuto fattuale (come, pochi anni dopo, faranno i terapeuti del comportamento) ma per il significato simbolico che possono assumere nella vita dei clienti e per la possibilità di sviare così la loro attenzione dai propri sintomi e dalle ansie connesse. Pochi anni dopo, tutti terapeuti familiari sistemici o strategici (e non solo) faranno dei compiti a casa e delle prescrizioni di comportamento un caposaldo della terapia familiare.

Di fatto, Erikson introduce nelle terapie della famiglia un elemento di suggestione, assente nei terapeuti di matrice analitica.

 

TERAPIE ESPERIENZIALI

 
CARL WHITAKER

Nato nel 1912 in una fattoria di Raymondsville, nello Stato di New York, Whitaker cresce in una comunità rurale isolata, totalmente immerso nella propria vasta famiglia. Dopo la laurea in medicina e la specializzazione in ginecologia, nel 1938 viene assunto come psichiatra pur essendo del tutto digiuno di preparazione specifica. Praticando l'approccio alla follia, invece di sentirselo insegnare, sviluppa un'autentica fascinazione per il mondo degli psicotici. Passato alla Child Guidance Clinic impara le terapie di gioco con i bambini, guadagnandone un intenso interesse per tutti gli aspetti simbolici e non verbali della terapia oltre che per il lavoro sul "qui e ora" della seduta più che sul passato dei pazienti. Nell'ultimo anno di guerra, Whitaker entra a far parte dello staff psichiatrico dell'impianto nucleare di Oak Ridge, nel Tennessee, con l’obbligo di seguire 20 pazienti al giorno in terapia individuale. La necessità di lavorare così intensamente lo conduce a privilegiare il fare terapia rispetto al parlare della terapia. La carenza di formazione, insieme alla necessità di lavorare con pazienti fortemente regrediti e con transfer intensissimi (la diagnosi dell'epoca per quei disturbi è in genere di "reazione psicotica"), induce il giovane psichiatra per caso a crearsi un nuovo modo di lavorare: la coterapia.

La coterapia, che diventerà uno dei marchi distintivi del metodo di Whitaker, ha alcuni punti di contatto con l'equipe sistemica, in cui un membro può seguire dietro lo specchio il processo interattivo mentre l'altro produce attivamente interventi terapeutici. Anche se, nell'uso che viene fatto dell'equipe terapeutica da parte dei terapeuti sistemici, l'accento è posto sul punto di vista esterno (per quanto non distaccato) dell'equipe rispetto al terapeuta attivo, mentre nel modello di Whitaker e coterapeuti sono entrambi fortemente partecipi delle interazioni emotive che avvengono nel corso della seduta.

Il suo modo di “essere terapeuta” presuppone un intenso coinvolgimento nei processi emotivi dei clienti, oltre che uno spiccato interesse per il loro mondo simbolico: è una delle caratteristiche che più distanziano Whitaker dai terapeuti della famiglia suoi contemporanei.

Mentre Bowen cerca la distanza ed "evita il transfert", Whitaker lo vuole e lo stimola; se lo stile dei sistemici di Palo Alto è lucido e razionale, tutto cognitivo, quello di Whitaker è erratico e intuitivo, tutto istinto; mentre l'analista Ackerman conserva sempre il controllo del setting, Whitaker sembra bellamente ignorarlo; se Milton Erikson mantiene la posizione carismatica e misteriosa del sapiente, soppesando le sue strategie, Whitaker non perde occasione per sottolineare ai suoi stessi clienti la propria incompetenza e incapacità di "salvarli".

La coterapia aiuta a mantenere questa relativa mancanza di controllo. Whitaker può permettersi di "impazzire insieme a paziente" perché sa di poter contare sul coterapeuta, che mantiene una posizione più vicina alla realtà e può sempre soccorrerlo prima che si immedesimi troppo nella psicosi.

Insieme a Warkentin e a Thomas Malone, Whitaker passa nel 1946 alla Emory University di Atlanta; il gruppo di Whitaker si occupa anche ampiamente di formazione. È a questo punto che, per motivi pratici, Whitaker prende in considerazione la famiglia. È più consigliabile, e anche più facile, trattare direttamente il luogo d'origine della regressione dei pazienti.

Della famiglia, Whitaker si crea un'idea particolare: la considera più un'unità totalizzante che una somma di individui, e per di più governata da processi in gran parte inconsci e collettivi. Il terapeuta Whitaker si pone come elemento disturbante, spesso aggressivo, e non come regolatore di flussi di comunicazione.

Frattanto, e sempre attraverso il lavoro sugli schizofrenici, Whitaker entra in contatto con i terapeuti della famiglia. Le posizioni estreme di Whitaker gli guadagnano fin dall'inizio un ruolo autorevole, rispettato ma isolato tra i terapeuti della famiglia. Si crea anche un suo seguito, ma ci vorranno molti anni perché si trasformi in una vera scuola. E i motivi sono facilmente comprensibili, alla luce di certe affermazioni impietose del maestro: "Da ultimo, il più importante fattore familiare che si collega al cambiamento o all'impossibilità di cambiamento è la disperazione. Quando i membri della famiglia sono disperati, cambiano; quando non sono disperati, rimangono uguali."