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Se devi proprio rimuginare, almeno fallo in terza persona.

Sei sotto stress? Stai rimuginando continuamente su quello che è accaduto o su come gestire una situazione futura? I pensieri che hai generano emozioni negative che ti fanno stare male? Esiste un modo semplicissimo per abbassare l’ansia e il livello di stress e migliorare le capacità di giudizio, basta parlare a se stessi in terza persona.

Il semplice fatto di parlare a se stessi in terza persona durante i periodi stressanti aiuta a controllare le reazioni emotive. In uno studio pionieristico, condotto all’Università del Michigan e pubblicato su Scientific Reports, è stato dimostrato che l’utilizzo della terza persona durante i dialoghi interni riduce lo stress, e ciò avviene praticamente senza ulteriori sforzi di volontà. Per fare un esempio: Marco è stato lasciato da poco dalla sua fidanzata. Marco è chiaramente triste, depresso, arrabbiato e come tutti, nell’intimità della sua testa, ragiona per enunciati verbali che suonano più o meno così: “Perché mi sono comportato in quel modo?”, “Potevo fare questo invece che quello”, “Troverò mai il coraggio di chiarire la situazione” ecc… La ricerca suggerisce che se Marco iniziasse a parlare a se stesso utilizzando la terza persona, e cioè “Perché Marco si è comportato in quel modo?” “Poteva Marco fare questo invece che quello” “Marco troverà mai il coraggio di chiarire la situazione”. Allora la risposta emotiva a tali ragionamenti sarà minore. Minore risposta emotiva equivale a minore stress ed a maggiori capacità analitiche. In sostanza, per prendere le distanze (psicologiche ed emotive) da una situazione dolorosa sembra essere sufficiente una piccola variazione di tipo grammaticale. Lo studio si compone di due esperimenti separati, entrambi coerenti nei risultati. Nel primo esperimento i soggetti hanno visionato immagini particolarmente violente. Le loro reazioni cerebrali sono state registrate a mezzo di un elettroencefalogramma sia in condizioni di normalità, sia quando i soggetti “parlavano a se stessi” in terza persona. L’utilizzo della terza persona nei discorsi interni ha fatto diminuire notevolmente l’attività elettrica della parte del cervello coinvolta nell'elaborazione delle emozioni. Inoltre lo sforzo cognitivo legato all'utilizzo della terza persona è risultato trascurabile. Ciò è di fondamentale importanza, molte tecniche infatti permettono la regolazione delle emozioni, ma spesso sono di difficile apprendimento e di solito richiedono costanza e forza di volontà per essere applicate con successo. Nel secondo esperimento i partecipanti sono stati invitati a ricordare episodi particolarmente dolorosi della vita mentre l’attività del loro cervello veniva monitorata con la risonanza magnetica funzionale(fMRI). Anche in questo caso l'invito degli psicologi richiedeva di rielaborare i ricordi sia in prima che in terza persona. Confermando i dati del primo esperimento si è visto che, quando i soggetti usavano la terza persona, le regioni normalmente coinvolte nella processazione delle emozioni risultavano meno attive. Ciò è sicuramente indice di una migliore regolazione della sfera emotiva. Inoltre anche la risonanza magnetica funzionale ha confermato che l’utilizzo della terza persona non ha comportato un dispendio di risorse cognitive. Confesso di non essere abituato, nei miei dialoghi interni, ad utilizzare la terza persona. Tuttavia provare non costa nulla, e se mi dovessi accorgere che la cosa funziona inviterò sicuramente i miei pazienti ad utilizzare questa metodica. Un dubbio però rimane. E se nell’intime cogitazioni invece di utilizzare semplicemente la terza persona provassi ad utilizzare il “lei” e magari il titolo di studio? Si passerebbe da un semplice “perché Leonardo ha scritto questo articolo?” ad un più formale “Dott. Leonardo Corsetti, come mai ha deciso di scrivere questo articolo?” In teoria, l’effetto dovrebbe essere maggiore. O no? Link Fonte.