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Siamo cablati per scegliere la strada più facile. Siamo "naturalmente" pigri.

pigrizia
La quantità di fatica che dobbiamo affrontare influenza il modo con il quale percepiamo la realtà.

Il "costo" che dobbiamo sostenere per ottenere un oggetto non cambia solo il nostro comportamento, ma anche il modo con il quale crediamo di vedere l'oggetto stesso.

Un nuovo ed elegante studio evidenzia che la quantità di sforzo necessario per intraprendere un determinato compito modifica la percezione stessa del modo con il quale percepiamo il compito stesso e le eventuali alternative possibili. Ricordate la storia della Volpe e dell'Uva di Esopo: « Una volpe affamata, come vide dei grappoli d'uva che pendevano da una vite, desiderò afferrarli ma non ne fu in grado. Allontanandosi però disse fra sé: «Sono acerbi». Così anche alcuni tra gli uomini, che per incapacità non riescono a superare le difficoltà, accusano le circostanze. » La morale che ci hanno insegnato, in relazione a questa storia, è che spesso si reagisce ad una sconfitta sostenendo di non aver mai desiderato la vittoria, o disprezzando il premio che si è mancato di ottenere. In psicologia la reazione della volpe è considerata  una forma esemplare di razionalizzazione finalizzata a ridurre il fardello della dissonanza cognitiva. Lo studio in questione però ci dice molto di più, ci suggerisce che la Volpe non afferma che l'uva è acerba per giustificare la sua incapacità di coglierla,  ma che le difficoltà che la Volpe sente di dover superare per raggiungere l'Uva modificano la percezione stessa del frutto facendolo apparire come non buono. In pratica, nella valutazione dell'appetibilità dell'uva, è coinvolto il sistema sensoriale e quello istintivo (sistema 1, vedi il testo Pensieri lenti e veloci di Daniel Kahneman) e la Volpe percepisce il frutto sin dall'inizio come acerbo. Non c'è dunque alcuna razionalizzazione cosciente ne conflitto cognitivo percepito. Lo studio, pubblicato su eLife, ha sottoposto 52 soggetti ad un serie di test nei quali era chiesto loro di giudicare se una "nuvola di punti" che si muoveva sullo schermo si spostava verso destra o verso sinistra. La risposta doveva essere fornita muovendo una leva o a destra o a sinistra, in concordanza con il movimento dei punti che ritenevano di vedere sul monitor. L'eleganza dell'esperimento consiste nell'aver apportato una piccola modifica a quello che altrimenti sarebbe stato un setting classico di psicologia sperimentale. Alla leva, progressivamente ed in modo impercettibile, veniva applicata una resistenza che rendeva più faticoso lo spostamento in una delle due direzione (ex.: sinistra). I soggetti esaminati, senza rendersene conto hanno iniziato a preferire automaticamente la scelta meno faticosa. Se ad esempio muovere la leva a destra risultava più dispendioso, la percezione della nuvola di punti visualizzati a schermo appariva con maggiore probabilità tendere a sinistra (lo stimolo rappresentato dalla nuvola di punti era volutamente ambiguo). La sensazione del maggiore peso della leva non è mai arrivata a livello cosciente, tuttavia il sistema motorio si è adattato automaticamente e ha innescato una modifica nella percezione dello stimolo visivo. Dopo questa fase di "apprendimento" i soggetti hanno continuato a preferire la risposta più "facile" anche se era stato chiesto loro di non interagire più con la leva ma di comunicare la decisione verbalmente. Questo studio ha due importanti conseguenze, la prima riguarda più da vicino chi progetta setting sperimentali per esperimenti psicologici. Fino ad ora, infatti, l'assunzione implicita considerava il sistema visivo come la fonte dalla quale raccogliere informazioni, che poi elaborate dal cervello venivano comunicate al sistema motorio. Questo studio, di contro, evidenzia  che la risposta motoria, spesso utilizzata nei setting sperimentali per comunicare la decisione, ha il potere di influenzare l'elaborazione degli input visivi e quindi di modificare la scelta finale del soggetto in esame. La seconda conseguenza riguarda le strategie finalizzate al cambiamento. In base a questo studio il cambiamento dei comportamenti appare più probabile se ottenuto come risultante di una diversa percezione della realtà derivante da una ri-strutturazione ragionata del contesto ambientale. Per fare un semplice esempio: se vogliamo scoraggiare nostro figlio dal consumo eccessivo di nutella è più utile fare in modo che la nostra dispensa preveda cibi sani ad altezza occhi, e cibi spazzatura in posizione meno comoda; molto in alto, molto in basso o meglio ancora in garage. Inutile dire al bambino che la nutella fa male, meglio lasciare al suo cervello la scelta tra una mela già lavata a portata di mano e 40 scale da percorrere in andata e 40 al ritorno per raggiungere la cioccolata fino al garage. Dovremmo ricordarci di trattare noi stessi e le persone che ci sono care utilizzando le stesse strategie razionali che vengono magistralmente messe in campo nei grandi centri commerciali: i prodotti più pubblicizzati vanno sempre ad altezza occhi in confezioni invitanti e colorate, quelli con minor profitto ben nascosti e se possibile in posizione scomoda da raggiungere. La volontà è un processo cosciente, estremante dispendioso in termini energetici e quindi messo in campo solo quando le risorse (mentali) abbondano. L'automatismo della scelta fatta su un  principio  di "economia in grande stile" invece è la norma, e rappresenta la quasi totalità dei nostri gesti quotidiani. Se vogliamo modificare un comportamento dobbiamo progettare il contesto per renderlo preferibile ad ogni altra alternativa. Link Fonte Link Ricerca Full Text