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Sorridere fa bene o fa male?

il prezzo della cortesia

Chi è obbligato a sorridere per lavoro esaurisce in fretta la sua riserva di "forza di volontà" ed è quindi soggetto a cedere più facilmente alle tentazioni, come ad esempio alla tentazione di abusare di alcol.

Un gruppo di ricercatori, analizzando le abitudini relative al consumo di alcolici di un esteso campione di soggetti, ha notato una evidente correlazione tra le caratteristiche di alcune tipologie di lavoro e la tendenza ad abusare di alcol a fine giornata. I dati, provenienti da una serie di 1.592 interviste condotte su lavoratori statunitensi, evidenziano l'esistenza di una correlazione tra l'abitudine di chi, per lavoro, è costretto a "fingere gentilezza" sopprimendo le emozioni negative e la tendenza ad un consumo eccessivo di alcolici nei momenti di pausa. I lavoratori maggiormente a rischio sono quelli a diretto contratto con il pubblico. In sostanza tutti i lavoratori pagati per essere gentili e cordiali al fine di dare al cliente la rassicurante sensazione di essere sempre dalla parte della ragione. La lista è lunga: operatori di call center, camerieri, baristi, venditori, commessi, parrucchieri, estetiste, infermieri, ecc... Tutti quegli individui ai quali è richiesta, da contratto, gentilezza e cortesia. Se il contratto lavorativo prevede (in modo più o meno esplicito) l'espressione di quelle che, nel curriculum vitae, spesso vengono definite come "spiccate competenze relazionali" ciò si traduce concretamente in uno sforzo cognitivo ed emotivo non banale. La costate soppressione dell'istinto (spesso sano) di mandare a quel paese chi non mostra rispetto e gentilezza, ma al contrario di rispondere con un rassicurante sorriso accompagnato ad un tono di voce remissivo e calmo, ha un costo. Il prezzo si paga in termini di "forza di volontà" o autocontrollo, che dir si voglia. E, la forza di volontà spesa in mille gesti di immotivata gentilezza, a fine giornata non è più disponibile per sorreggere il proposito di non farsi quel bicchiere di vino in più. La volontà è una risorsa a "quantità limitata". È un po' come il fiato per un corridore, lo puoi allenare, ma sarà sempre e comunque una risorsa limitata da dover dosare per poter arrivare a fine gara. Allo stesso modo, chi per lavoro è costretto a sprecare grandi energie costringendosi in un comportamento emotivamente innaturale correrà il rischio di non avere sufficiente volontà per inibire la messa in atto di comportamenti non sani. Se a ciò aggiungiamo il fatto che qualche bicchiere in più non solo è gratificante ma è anche utile a dimenticare le amarezze di una brutta giornata, il cocktail distruttivo è servito. Maggiore è lo sforzo per controllare le emozioni negative, minore è l'autocontrollo restante per limitare l'assunzione di alcolici. Controllare le emozioni negative non è di per se sbagliato (come non lo è il sorridere o il ridere per finta, esistono perfino corsi di Yoga della risata), tuttavia la sensazione di essere costretti a non reagire solo per denaro, e non come conseguenza di una scelta volontaria, è molto logorante. I ricercatori hanno inoltre scoperto che i soggetti più impulsivi sono quelli maggiormente penalizzati dell'obbligo della "gentilezza professionale". Tuttavia alcuni "professionisti del sorriso" si possono ritenere più fortunati. Coloro che hanno il privilegio di sentirsi gratificati dall'attività che svolgono sentono meno il peso di dover essere gentili. Di solito, ma non sempre, maggiore è il coinvolgimento tra il cliente ed il lavoratore e minore sarà la frustrazione da dover gestire. Ci sono poi alcune professioni di aiuto che prevedono la gentilezza come una "forma di cura", ad esempio la professione infermieristica.Sapere che la tua gentilezza può, in qualche modo, partecipare ad alleviare il dolore di un paziente che soffre è diverso dal constatare che stai sorridendo all'ennesimo cliente scortese solo perché, in caso contrario, il team manager troverà il modo di fartela pagare. Link Fonte