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È la conflittualità dei genitori, e non la separazione o il divorzio in se, a creare danni psicologici nei bambini.

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I bambini che, a seguito del divorzio di mamma e papà, possono continuare a frequentare entrambi i genitori in egual misura non mostrano segni di sofferenza psicologica. Non più dei loro coetanei, figli di genitori non separati.

I bambini in età prescolare che, a seguito della separazione dei genitori, godono di "custodia fisica congiunta" hanno minori problemi psicologici rispetto ai minori accuditi prevalentemente da un solo genitore. Nello studio, condotto su un campione di 3.656 bambini di età compresa tra i 3 e i 5 anni, si evidenzia che i minori accuditi da entrambi i genitori secondo una modalità condivisa mostrano meno problematiche comportamentali e meno sintomi di sofferenza psicologica rispetto ai bambini gestiti prevalentemente da un solo genitore. La pratica della custodia fisica congiunta (joint physical custody), e cioè la prassi che vede il minore accudito da entrambi i genitori nel rispetto di una paritaria divisione del tempo, è molto diffusa in Svezia. In Italia abbiamo l'affido condiviso. Nell'affido condiviso, inteso più come una serie di norme e regole finalizzate a limitare la conflittualità dei genitori, spesso la prassi è di "concede" al genitore "non collocatario" uno o massimo due giorni alla settimana in aggiunta ad un fine settimana ogni 15 giorni di frequentazione parentale. Tuttavia, da questa che è la prassi "giuridica", spesso si arriva a situazioni di sostanziale mono-genitorialità. Pochi sono infatti i casi di reale condivisione dei tempi di accudimento. Studi precedenti hanno dimostrato che i bambini in età scolare e gli adolescenti godono di maggiore serenità se accuditi con le modalità della custodia fisica congiunta. Gli esperti temono però, nel caso di bambini troppo piccoli, che la pratica della custodia fisica condivisa non sia raccomandabile. L'ipotesi è che i bambini più piccoli abbiano un bisogno di continuità e stabilità non compatibile con il continuo "pellegrinaggio" tra mamma e papà previsto dalla custodia congiunta. Pochi sono i dati relativi all'impatto della custodia fisica congiunta su minori in età prescolare. Ora, sulla base delle valutazioni rese dai genitori e dagli insegnati i ricercatori hanno confrontato gli indicatori di problematiche comportamentali e di sintomatologie mentali su un campione di 136 bambini  in "custodia fisica congiunta", 79 in accudimento prevalente ad un solo genitore, 72 in accudimento esclusivo e 3.369 in famiglie nucleari. I sintomi sono stati valutati utilizzando il test "Strengths and Difficulties Questionnaire" (SDQ). Sia gli insegnati che i genitori hanno evidenziato le maggiori difficoltà dei minori accuditi in modo prevalente o esclusivo da un solo genitore. Nelle stime riferite dai genitori, inoltre, non sono state evidenziate differenze significative tra i bambini  in custodia fisica congiunta e quelli in famiglie nucleari.

Che significato hanno questi dati?

Chiaramente questi dati non possono essere letti banalmente affermando che, se la custodia fisica congiunta è la soluzione migliore per tutelare i minori, allora in ogni separazione si dovrà, per il supremo interesse del minore, adottare questa modalità di gestione. Da terapeuta familiare, l'unico modo in cui mi sento di interpretare questi dati, è il seguente:
  • Se una coppia genitoriale riesce ad accudire i propri figli, anche dopo il divorzio, secondo le modalità della custodia fisica congiunta probabilmente è una coppia caratterizzata da bassi livelli di conflittualità.
  • La continuità e la stabilità di cui i bambini piccoli (e grandi) hanno bisogno non è quella "oggettiva" del domicilio ma è quella più delicata del clima emotivo. Per stabilità emotiva si intende la sicurezza di poter incontrare il papà, senza doversi per questo sentire in colpa perché la mamma si sente tradita. Di non doversi sentire arbitro tra due persone che hanno come unico obbiettivo quello di distruggersi a vicenda per dimostrare a se stesse che la causa di ogni loro dolore è riconducibile alla meschinità dell'altro.
E da ciò si può dedurre che il modo migliore per tutelare i minori in caso di separazione o divorzio consiste nel limitare al massimo la conflittualità genitoriale. Ciò avviene quando gli adulti (entrambi) sono sufficientemente consapevoli della natura delle proprie emozioni. Chi si è sentito tradito, ferito, non capito all'interno del rapporto di coppia spesso tende ad estendere la paura di ulteriori tradimenti, ferite ed incomprensioni anche alla percezione che ha del rapporto tra l'ex partner e la prole. Il ragionamento è sempre lo stesso: "se con me, nel rapporto di coppia, è stato/a inaffidabile, insensibile, incoerente ecc... ecc... allora lo sarà anche nel rapporto con i bambini". Sull'onda di questa premessa (assiomatica), l'altro assume sempre di più le sembianze del male assoluto, male dal quale è necessario e giusto proteggere i figli. Spesso entrambi i genitori sono portati, istintivamente, a questo tipo di ragionamento. Siamo progettati (o meglio modellati dall'evoluzione) per identificare i pericoli e automaticamente allontanarcene il più possibile. Ciò che è percepito come dannoso, perché ha generato dolore, non può avere anche una valenza positiva (tertium non datur). O meglio, è necessario un ripetuto e continuo sforzo cognitivo per ricordare a noi stessi la possibilità che un pessimo partner possa, non ostante tutto, essere anche un ottimo genitore. Non solo, è necessario inoltre che questo sforzo cognitivo sia compiuto simultaneamente e grosso modo in egual misura da entrambi i genitori. Un genitore consapevole ed equilibrato non può, in virtù della sua posizione nel gioco delle parti, rassicurare l'altro quando è spaventato. Al contrario, la paura dell'altro verrà percepita come aggressività gratuita ed ingiustificata e quindi innescherà delle contromisure di tipo difensivo. Link Fonte