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Miglior rimedio per gestire l'ansia e la depressione: passeggiare in mezzo alla natura.

Passeggiare in mezzo alla natura calma il cervello: l'attività dell'amigdala si dimezza dopo una sola ora di passeggiata in un contesto extraurbano.

Perché i farmaci non sembrano essere la scelta migliore quando si parla di ansia e di depressione?

 

Durante le prime due decadi del XXI secolo, numerosi articoli frutto di studi ben progettati hanno dimostrato che l’efficacia dei farmaci antidepressivi è stata ampiamente sovrastimata e che l’uso a lungo termine dei farmaci ansiolitici è anti-terapeutico.

Uno studio basato in parte sulle informazioni derivate dall’uso del Freedom of Information Act ha riscontrato che negli scorsi trent’anni le ricerche che hanno mostrato effetti positivi per i farmaci antidepressivi sono stati pubblicate dodici volte di più di quelle che dimostravano un’assenza della loro efficacia (Turner, Matthews, Linardatos, Tell e Rosenthal, 2008). 

Un’altra analisi su ampia scala degli studi sull’efficacia degli SSRI (Inibitori Selettivi del Reuptake di Serotonina) indica risultati positivi tra il 56% e il 60% (Taylor et al., 2006).  Il fatto che più della metà dei pazienti che assumono SSRI abbiano tratto giovamento rispetto alla loro depressione è un risultato notevole, tuttavia quando questi pazienti vengono paragonati a quelli che rispondono ad un placebo, l’enfasi attribuita al ruolo della serotonina perde il suo lustro. 

Secondo un’altra meta-analisi infatti, circa il 47% delle persone depresse risponde positivamente al trattamento placebo (Arrol et al., 2005). Si tratta circa del 10% in meno rispetto ai pazienti che rispondevano bene agli SSRI, ma quanti tra coloro che rispondono favorevolmente nel gruppo degli SSRI hanno sperimentato in realtà un effetto placebo come reazione agli effetti collaterali dei farmaci? 

Sempre grazie al Freedom of Information Act, i ricercatori dell’Università del Connecticut e dell’Università George Washington hanno potuto visionare i dati di efficacia inviati alla Food and Drug Administration per 6 diversi farmaci della classe degli SSRI (Kirsch, Scoboria e Moore, 2002), riscontrando che il 60% degli studi sugli SSRI non riuscivano a dimostrare la loro superiorità rispetto al placebo.

Circa l’80% delle risposte furono replicate nel gruppo dei pazienti che assumevano il placebo. Quando i partecipanti di entrambi i gruppi compilarono un questionario per la depressione post-trattamento, fu rilevato che i punteggi differivano solo del 10%.

Considerato che oggi sono molto numerosi i farmaci a disposizione, e che con il DSM-5 sono sempre più le diagnosi che possono essere trattate farmacologicamente si nota una allarmante tendenza, coerente con l’attitudine generale di un’ampia fetta della popolazione a pretendere risposte semplici per problemi complicati, verso l’abuso di psicofarmaci.

Quindi, non solo i farmaci non riescono a risolvere i problemi di ansia e depressione ma rischiano di confondere ancora di più il contesto rendendoci meno capaci di modificare il nostro stile di vita. 

Se i farmaci non funzionano come può essere d’aiuto una semplice passeggiata in mezzo alla natura?

 

Di contro, sempre nel corso delle prime due decadi del XXI secolo si stanno moltiplicando le ricerche, fondate su solide basi scientifiche, che evidenziano come uno dei rimedi più efficaci per gestire i problemi d’ansia e di depressione consiste nel tentare di modificare lo stile di vita. Spesso partendo da piccole ma utilissime abitudini.

Da poco è stata pubblicata una ricerca che si inserisce bene in questo filone di indagine. Banalmente la ricerca è sintetizzabile con due immagini.

Identificati due percorsi approssimativamente di lunghezza equivalente, uno di tipo naturalistico, mentre l’altro di tipo urbano. Se invitiamo un soggetto a trascorrere un’ora passeggiando in uno dei due tracciati osserviamo che:

I soggetti che hanno passato del tempo in mezzo alla natura evidenziano una riduzione molto significativa dell’attività dell’amigdala dei loro cervelli. L’amigdala, centro cerebrale deputato al rilevamento delle minacce, risulta meno attiva sia in caso di stimoli neutrali sia in caso di stimoli emotivamente carichi. 

Dal grafico è evidente che il centro di rilevamento delle minacce, l’amigdala, dimezza il suo livello di attività dopo un'esposizione di appena un ora a stimoli naturalistici. È chiaro quanto questo banale dato sia rilevante se consideriamo il rapporto tra l’attività dell’amigdala e praticamente tutti i maggiori problemi di tipo psicologico (ansia, depressione, fobie, disturbo post traumatico ecc…).

Da tempo è noto che vivere in città è considerato un fattore di rischio per lo sviluppo di un disturbo mentale, mentre vivere vicino alla natura è in gran parte benefico per la salute mentale e per il cervello. 

Tuttavia, fino ad ora non è stato possibile chiarire se il contatto con la natura ha reali effetti benefici sul cervello o se gli individui che scelgono di vivere in regioni rurali sono già più equilibrati rispetto a chi preferisce la vita cittadina.

Per ottenere prove causali, i ricercatori hanno esaminato attraverso la risonanza magnetica funzionale (fMRI) l'attività cerebrale nelle regioni coinvolte nell'elaborazione dello stress in 63 volontari sani prima e dopo una passeggiata di un'ora o in un bosco o in una strada commerciale di Berlino.

I risultati dello studio hanno rivelato che l'attività dell'amigdala è diminuita dopo la passeggiata in natura, ma non dopo la passeggiata nei distretti urbani, suggerendo che gli ambienti naturali suscitano effetti benefici sulle regioni cerebrali legate allo stress.

Ciò contribuisce alla comprensione di come il nostro ambiente e il nostro stile di vita influenzano il cervello e la salute mentale. 

È chiaro che una passeggiata da sola non può risolvere un disturbo d’ansia o una fase depressiva, tuttavia uno stile di vita che preveda frequenti passeggiate in natura sembra essere la via maestra per calmare l’attività dell’amigdala e permetterci di guardare alle cose con la giusta prospettiva.

Link Fonte e Istruzioni per l'uso del cervello di John Arden