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Cervello destro, cervello sinistro.

L'emisfero sinistro del cervello è il luogo in cui viene elaborato il linguaggio; è anche responsabile della categorizzazione e dell'interpretazione della realtà, nonché del riconoscimento dei modelli. Insieme, questi processi creano l'illusione di un sé stabile, coeso e continuo. Al fine di ridurre il costante chiacchiericcio mentale tipico del cervello sinistro e di ridurre quindi anche la sofferenza che da questo chiacchiericcio proviene, possiamo attingere alla nostra "coscienza" del cervello destro impegnandoci in pratiche ad esso più affini, come ad esempio lo yoga e la meditazione.

Cogito, ergo sum. Penso, dunque sono. Queste parole attribuite a René Descartes, diciassettesimo secolo, racchiudono una visione del mondo particolare, e particolarmente legata al pensiero occidentale, ovvero che l’essenza dell’essere umano è definita dal pensiero, dalla facoltà di pensare.

Cartesio supponeva l’esistenza di un “io” stabile e continuo, un’entità pensante da cui emergono i pensieri. E la maggior parte delle persone, almeno in Occidente, sarebbe tutt’oggi d'accordo con lui.

Ma questo “io” esiste davvero? 

L'argomento centrale di molte filosofie orientali è che non esiste un “io”. Piuttosto, esiste l'illusione di un sé continuo, e proprio questa illusione, secondo tali filosofie, sarebbe alla base di tutta la sofferenza umana.

Le neuroscienze ora sembrano convalidare queste idee orientali.

Le neuroscienze e i buddisti concordano: il sé è un'illusione!

Quando usi la parola “io”, a cosa ti riferisci esattamente?

Questa domanda probabilmente sembra bizzarra? Quando dici “io”, intendi te, la coscienza pensante che controlla il tuo corpo e sembra trovarsi nella tua testa, proprio dietro i tuoi occhi. Questo “pilota” cosciente è il referente implicito della parola “io”. 

Probabilmente dai per scontato questo sé, immaginando che sia fisicamente situato da qualche parte nel tuo cervello, come un pilota in un aereo. 

Ma ecco il problema, quando le neuroscienze provano a cercare questo “sé” nel cervello, semplicemente non lo trovano.

Le neuroscienze sono riuscite a mappare quasi tutte le funzioni della mente. Hanno localizzato i correlati anatomici per il linguaggio, per la compassione, per l'elaborazione del volto e per molti altri processi mentali, eppure non hanno trovato un centro per il sé.

Un buddista non sarebbe sorpreso di queste scoperte. Per millenni infatti, sia il buddismo che il taoismo hanno insegnato che non esiste un sé coeso e continuo. Entrambi insegnano che l'individualità è un'illusione.

Questo non vuol dire che questa illusione non sia molto convincente. 

Secondo il pensiero orientale, l’identificazione con il proprio sé (estremamente convincente, ma probabilmente illusorio) è alla base della sofferenza mentale.

 

L’emisfero sinistro del cervello è un fantasioso creatore di storie. 

Negli anni ‘60, alcuni pazienti hanno subito un intervento chirurgico radicale e sperimentale, la resezione del corpo calloso. 

Il corpo calloso è lo spesso fascio di fibre che collega il cervello destro al cervello sinistro, consentendo a ciascun lato di comunicare con l'altro. 

L'intervento è stato necessario per ridurre e circoscrivere la gravità delle crisi epilettiche dei pazienti. Ma ha anche fornito agli scienziati un’occasione unica per poter studiare un gruppo di persone il cui cervello sinistro e destro non erano più in comunicazione costante.

Il lavoro con questi pazienti caratterizzati dal “cervello diviso” ha consentito ai ricercatori, per la prima volta nella storia, di isolare completamente le funzioni di ciascun lato del cervello. 

Una chiara comprensione di come funzionano questi due lati, e in particolare di come funziona il cervello sinistro, è fondamentale per comprendere l’illusione del sé.

Dai pazienti con “split brain” (cervello diviso) abbiamo appreso che tutte le informazioni sensoriali provenienti  dal lato sinistro del corpo, comprese le informazioni visive, vengono elaborate dal lato destro del cervello e viceversa.

Abbiamo appreso inoltre che il cervello sinistro, nel tentativo di dare un senso alla realtà, inventa costantemente spiegazioni plausibili utilizzando i dati che ha a disposizione. È un interprete.

In quello che è forse il più famoso studio sul cervello diviso, uno sperimentatore ha mostrato al cervello sinistro di un paziente (quindi al solo campo visivo destro) l'immagine di una zampa di gallina. Ha poi mostrato al cervello destro del paziente (campo visivo sinistro) l'immagine di un paesaggio innevato. Successivamente è stata mostrata una serie di immagini ad entrambi i lati del cervello del paziente ed al paziente è stato chiesto di selezionare quelle correlate alle due immagini iniziali.

La mano destra del paziente, controllata dal cervello sinistro, ha selezionato l'immagine di un pollo per abbinarla alla zampa di gallina, e la mano sinistra del paziente, controllata dal cervello destro, ha selezionato l'immagine di una pala da neve per abbinarla al paesaggio innevato.

Successivamente è iniziata la parte affascinante. Quando è stato chiesto ai pazienti “split brain” perché stavano indicando una pala da neve con la mano sinistra, i pazienti hanno fatto qualcosa di sorprendente. 

Il cervello sinistro è il luogo in cui viene elaborato il linguaggio, ma invece di “pensare” qualcosa del tipo: “... sembra che non riesca a comunicare con il cervello destro e non sono sicuro del motivo per cui la mano sta puntando verso la pala da neve ...”, ha fornito immediatamente una risposta sicura e spavalda, ma assolutamente falsa.

I pazienti hanno fornito sempre risposte plausibili, ma assolutamente false, come ad esempio “la zampa gallina si associa con il pollo e ho bisogno di una pala per pulire il pollaio”.

Altri studi hanno portato alla stessa conclusione: il cervello sinistro fornisce sempre un’interpretazione, anche se non ha nulla a che fare con la realtà. Il cervello sinistro non si astiene mai dal formulare un’ipotesi anche se non ha dati sufficienti, lui crea una storia e pretende che la realtà si pieghi alla sua interpretazione dei fatti (fenomeno evidente anche nella confabulazione tipica della demenza senile).

 

Il cervello sinistro usa il linguaggio come uno strumento per classificare la realtà.

L’emisfero sinistro del cervello è il centro del linguaggio. E non solo del linguaggio che usiamo per comunicare con gli altri, quello udibile. Usiamo l’emisfero sinistro anche quando parliamo a noi stessi, quando siamo impegnati nell'interpretazione costante della realtà, quando argomentiamo e discutiamo le nostre tesi e le nostre ipotesi nel silenzio della nostra mente. È nell’emisfero sinistro che nasce il pensiero cosciente.

Potremmo pensare al linguaggio come ad una sorta di strumento per creare mappe. Usiamo le parole per navigare nel terreno della realtà. 

Tuttavia è importante chiedersi: stai usando lo strumento o è lo strumento che sta usando te? 

Il problema è che siamo così abituati ad usare il linguaggio per riferirci alla realtà che spesso finiamo per scambiare il nome di qualcosa per la cosa stessa. 

Usare il linguaggio per classificare la realtà è estremamente utile, purché riconosciamo che queste categorie esistono solo nella mente piuttosto che “là fuori” nel mondo reale.

Sulla base di queste premesse prova ora a rispondere alla semplice domanda: “Chi sono io?”. Nota come il cervello sinistro fornisce istantaneamente linguaggio e categorie. Potresti esserti definito in base al sesso, alla professione, allo stato civile, alla religione o alla tua posizione in un numero qualsiasi di altre categorie. 

Ma, senza tali categorie, ti risulta impossibile definire chi sei. Il tuo “io” potrebbe essere semplicemente un'idea fuorviante, un'illusione astratta dal linguaggio che il cervello sinistro usa per categorizzare la realtà.

 

La tendenza del cervello a percepire schemi crea l’illusione del sé. 

Cosa hanno in comune le funzioni del linguaggio e della categorizzazione? Entrambi si basano sulla nostra capacità di identificare e riprodurre schemi, modelli. 

Se non riesci a riconoscere i modelli che governano la grammatica avrai difficoltà ad usare il linguaggio. E se non riesci a capire quando un particolare schema di lettere crea una parola scritta correttamente, non avrai modo di distinguere tra le parole della lingua scritta e delle lettere raggruppate a caso.

Poiché il cervello sinistro è specializzato nel linguaggio e nella categorizzazione, è molto probabile che sia anche il centro per il riconoscimento di schemi, o meglio per la creazione degli schemi. Dopotutto, il nostro cervello vede schemi ovunque e in ogni cosa, anche quando non ci sono.

Prendi in considerazione il famoso test delle macchie d’inchiostro ideato negli anni 1920 dal Dr. Hermann Rorschach. L’idea alla base dei test di Rorschach è che, quando vengono mostrate macchie d’inchiostro casuali su carta, i partecipanti al test proietteranno le loro preoccupazioni interiori sull’immagine, percependo figure (modelli) inesistenti nella macchie. Data la stessa macchia d'inchiostro casuale, persone diverse vedrebbero ogni sorta di cose diverse, dai volti ai fiori alle farfalle.

Vedere delle immagini in ​​una disposizione casuale d’inchiostro potrebbe sembrare abbastanza innocuo. Ma cosa pensi che succeda quando il cervello si gira a guardare verso il mondo interno? 

Il discernimento dei modelli è sicuramente necessario, ma può anche portare a sofferenze inutili.

Ad esempio se sei convinto che i tuoi colleghi ti detestano prova ad immaginare cosa proveresti se li vedessi riuniti in ufficio, sussurrando e lanciandosi occhiate d’intesa.

Il tuo cervello raggruppa queste informazioni e crea uno schema: i tuoi colleghi ti stanno escludendo e stanno cospirando contro di te. Questa “nuova consapevolezza” ti costringe a sperimentare ondate di emozioni spiacevoli come paura, tristezza, ansia e così via. E sotto la spinta di queste emozioni il tuo comportamento cambia, diventi più sospettoso, schivo e meno disposto a slanci di socialità.

Dopo qualche giorno scopri che questo schema mentale è semplicemente falso. I tuoi colleghi in realtà si stavano mettendo d’accordo per organizzarti una festa di compleanno a sorpresa. 

Siamo costantemente alla ricerca di schemi utili a rendere la realtà coerente e prevedibile. Non c'è niente di sbagliato in questo (a parte il fatto che spesso la realtà ha il brutto vizio di non essere né coerente né prevedibile). Ma, per ridurre la sofferenza mentale, è importante ricordare che questi schemi spesso esistono solo nella nostra mente, e sono più simili a delle scommesse che a delle rappresentazioni fedeli di dati oggettivi.

 

Siamo tutti in grado di utilizzare l'emisfero destro. 

Il cervello sinistro è il centro linguistico, interpreta la realtà, cerca schemi. L’insieme di queste funzioni porta all’illusione di possedere un sé stabile e coeso.

Sai bene come ci si sente quando è attiva la “coscienza” dell’emisfero sinistro perché la stai sentendo proprio ora, mentre leggi queste righe. È la vocina dentro la testa che non la smette mai di chiacchierare.

Ma come potrebbe essere percepire il mondo utilizzando l’emisfero destro invece che il sinistro? 

Nel 1996, la dottoressa Taylor ebbe un ictus. Un vaso sanguigno è esploso nell'emisfero sinistro del suo cervello, disabilitandolo. Durante l’ictus la dottoressa non era più in grado di elaborare il linguaggio e la sua voce interiore, con tutte le sue preoccupazioni per il passato e per il futuro, era completamente silenziosa. Classificare la realtà non aveva più senso. Non si percepiva più come un individuo, separato dagli altri; piuttosto, si sentiva come un essere senza confini, tutt'uno con l'energia dell'universo, in pace con il mondo e completamente immersa nel momento presente.

In altre parole la dottoressa ha sperimentato uno stato mentale simile a ciò che le persone sperano di ottenere praticando la meditazione e la consapevolezza.

Prima dell’ictus, la dottoressa Taylor si identificava come un’intellettuale e il suo chiacchiericcio interno, proveniente dall'emisfero sinistro era, come quello della maggior parte delle persone, costante e insopprimibile.

In seguito all’ictus, la sua percezione di sé è stata ampliata e si è resa conto che poteva scegliere, a seconda della situazione, di vivere il senso di unità offerto dell'emisfero destro o le capacità di analisi e di previsione fornite dall'emisfero sinistro.

Per continuare il suo lavoro e la sua vita, aveva bisogno del suo cervello sinistro. Tuttavia, la sua vita le è apparsa migliore quando si è resa conto che poteva percorrere una “via di mezzo”, né tutto cervello sinistro né tutto cervello destro. 

È possibile accedere a questo stato mentale senza dover subire per forza un ictus al lobo sinistro? In che modo possiamo mettere da parte,  anche se solo per un breve periodo di tempo, le continue interpretazioni e la ricerca di schemi per lasciarci semplicemente vivere?

 

L’emisfero destro del cervello è il centro dell’elaborazione spaziale e le attività basate sul movimento sono un modo per attivarlo.

Sperimentare la “coscienza” dell'emisfero destro è difficile. Dopotutto, per parlarne siamo costretti ad usare il linguaggio, e il linguaggio è una funzione del cervello sinistro. Inoltre, poiché il tuo ego, il sé a cui ti riferisci quando dici “io”, è un costrutto del cervello sinistro, non c'è modo, nel tipico senso occidentale della parola, di sperimentare la coscienza del cervello destro.

In effetti, nell'istante in cui inizi ad utilizzare le parole per descrivere un’esperienza, sei già passato al pensiero prodotto dell’emisfero sinistro. 

L'unico modo per comprendere la coscienza dell’emisfero destro è sperimentarla. 

È un po’ una semplificazione, ma si potrebbe dire che mentre il cervello sinistro è il centro del linguaggio, il cervello destro è il centro dell’elaborazione spaziale.

Quando allunghi la mano per afferrare un oggetto, è il tuo cervello destro che consente alla tua mano di navigare con precisione nello spazio, regolando le dita in modo che siano alla giusta distanza per afferrare con successo qualunque cosa tu stia cercando. 

I complessi meccanismi mentali alla base di questo semplice movimento non sono evidenti alla nostra mente cosciente nello stesso modo in cui lo sono i pensieri quando, ad esempio, cerchiamo di risolvere un problema di trigonometria. 

Pertanto, classifichiamo questi meccanismi mentali come inconsci. Ma “inconscio” (inconscio cognitivo) è solo un'etichetta che applichiamo a forme di pensiero che hanno luogo al di fuori della sfera del linguaggio.

Le attività mentali inconsce, come quelle coinvolte nel movimento, richiedono complesse funzioni cerebrali e rappresentano la maggior parte dei compiti che il nostro cervello è tenuto a compiere per assicurarsi la sopravvivenza.

Le funzioni non basate sul linguaggio ma sul movimento riguardano il cervello destro. Ottimi esempi sono lo yoga e la meditazione, attività che esistono da migliaia di anni e che rappresentano dei modi perfetti, utilizzati anche oggi, per attingere alla coscienza del cervello destro.

Quando pratichi lo yoga, non ti è richiesto di pensare. Devi muoverti, e il movimento di solito ti fa sentire bene. Più riesci a concentrare la tua attenzione sul corpo meglio stai. Dopo pochi minuti si interrompe il chiacchiericcio interiore e ti senti in contatto con la tua parte corporea.

Miracolosamente smetti di pensare al passato o al futuro, sei concentrato sul presente e il tuo logorroico interprete interiore si prende qualche minuto di riposo.

Lo stesso vale per la meditazione. Se hai mai meditato, probabilmente saprai che molti istruttori consiglieranno ai principianti di concentrarsi sulla respirazione. Lo fanno perché, in circostanze normali, non è necessario “pensare” per respirare. Succede e basta. Concentrandoti sulla respirazione, allinei la tua mente a contemplare un’attività “inconscia”, e le permetti di entrare in uno spazio privo di pensieri e di etichette basate sul linguaggio.

Chi medita o pratica lo yoga tuttavia non descriverebbe mai la propria pratica come “inconscia”. Piuttosto, direbbe di essere estremamente cosciente e consapevole; è solo che si tratta di una attenzione e di una consapevolezza che risulta difficile da esprimere con le parole. 

Questo è l’emisfero destro del cervello in azione. Agisce senza pensiero, cioè senza interpretare le azioni per mezzo del linguaggio.

 

L'intuizione è una parte cruciale dell'intelligenza dell'emisfero destro.

L'emisfero destro oltre ad essere il centro di elaborazione spaziale del cervello è anche la fonte di altre forme di conoscenza “non cosciente”, cioè non verbale.

Le persone che sono dominanti nell’utilizzo dell'emisfero sinistro tendono a spiegare gli esempi di intelligenza intuitiva riducendoli a banali coincidenze.

Studi recenti indicano che il cervello destro, quello intuitivo, è migliore del cervello sinistro nel prendere determinate decisioni (molto dipende dal numero di variabili da considerare).

In un esperimento, i partecipanti dovevano scommettere dei soldi pescando a caso delle carte da due mazzi. Sono stati forniti 2.000 dollari per le scommesse e presentati due mazzi di carte, da cui potevano estrarre le carte. Il primo mazzo offriva sia grandi guadagni che grandi perdite. Le carte del secondo mazzo offrivano guadagni e perdite minori. L'obiettivo del gioco era vincere più soldi possibile.

In base a come erano distribuiti i guadagni e le carte nei due mazzi il gioco avrebbe fatto vincere più soldi ai giocatori che avessero scelto di pescare dal secondo mazzo.

La maggior parte dei giocatori impiegava tra le 50 e le 80 estrazioni prima di rendersi conto che il mazzo migliore era il secondo, o meglio prima che il loro cervello sinistro ne diventasse consapevole. 

Il loro cervello destro, al contrario, sembrava capirlo molto più velocemente.

I ricercatori, monitorando le ghiandole sudoripare delle mani dei partecipanti, hanno ottenuto informazioni sul livello di stress dei partecipanti.

Dopo appena dieci estrazioni dal primo mazzo, i palmi delle mani dei partecipanti hanno cominciato a sudare, indicando che il loro “inconscio cognitivo” era consapevole del rischio molto prima della loro intelligenza “cosciente”.

Questo studio suggerisce come funziona l’intuizione. Il cervello destro diventa consapevole delle informazioni a cui il cervello sinistro non può accedere e quindi invia questi dati alla parte sinistra sotto forma di “ispirazione” o di “sensazione istintiva”.

Incapace di esprimerle a parole, anche il cervello sinistro non può spiegare come ha ottenuto queste informazioni, ma la conoscenza intuitiva è ancora lì. Il cervello sinistro deve solo fidarsi.

 

Puoi sperimentare l'intelligenza del cervello destro cercando di essere compassionevole e grato. 

Nel Buddismo c'è un insegnamento noto come prajnaparamita, che enfatizza l’importanza di attingere ad una forma di conoscenza che sia indipendente dal linguaggio. È possibile che questo insegnamento, solitamente tradotto con Sutra della perfezione della saggezza o Sutra della conoscenza trascendente, sia qualcosa che solo il cervello destro può veramente capire.

L'emisfero destro non funziona utilizzando le categorie o il linguaggio; piuttosto, è specializzato nel percepire il quadro generale ed è in grado di “vedere” le informazioni a cui il cervello sinistro non può accedere.

Un altro metodo per attingere alla coscienza del cervello destro consiste nel praticare la compassione.

La compassione è una componente centrale dell'insegnamento buddista, che la definisce come “la capacità di guardare ad un’altra persona come se guardassimo a noi stessi”. 

Il cervello destro è il luogo in cui sorgono i nostri sentimenti di compassione. Dal punto di vista dei correlati anatomici dell’attività mentale si può infatti notare che c'è una parte del cervello destro chiamata giunzione temporoparietale destra (RTPJ) la cui unica funzione sembra essere quella di considerare le cose basandosi sulla prospettiva, sul punto di vista, degli altri.

Ogni volta che ti metti nei panni di qualcun altro, sforzandoti di vedere le cose da un punto di vista diverso dal tuo, l’area della tua giunzione temporoparietale destra  è al lavoro.

Un ulteriore modo per utilizzare ed allenare l’emisfero destro del cervello, contemplato anche dalla tradizione buddista, consiste nel cercare di essere "grati"(anche in questo caso stiamo parlando di sforzi cognitivi finalizzati a modificare un processo mentale e non di prescrizioni etiche o morali).

Uno studio del 2008 pubblicato su Cerebral Cortex ha dimostrato che il cervello destro è più attivo quando ci sentiamo grati, ed in un successivo studio, pubblicato su Social Cognitive and Affective Neuroscience nel 2014, si è visto che le persone che avevano l’abitudine di manifestare la loro gratitudine avevano anche più materia grigia nel cervello destro.

Impegnarsi ad essere attivamente grati comporta uno sforzo cognitivo. Si tratta infatti di un abitudine comportamentale che ci allena ad osservare con maggiore attenzione le cose positive piuttosto che quelle negative.

Ad esempio, immagina di essere bloccato nel traffico. Ti stai cominciando ad agitare. Ti senti nervoso e preoccupato per l’eventuale ritardo ma al tempo stesso sai che non puoi in nessun modo agire per modificare la viabilità. 

Hai due opzioni: la prima è vivere questa situazione stressandoti e rimanendo teso per tutto il tempo, magari manifestando il tuo disagio con qualche parolaccia o qualche colpo di clacson, l’altra è di cogliere l’occasione per sperimentare ed allenare le tue capacità di consapevolezza ed autocontrollo. 

Se è necessario avverti chi ti sta aspettando del tuo probabile ritardo, poi goditi lo spettacolo. Dopo che hai deciso di accettare la situazione (traffico inevitabile) ed hai agito nell’unico modo possibile (informato del tuo probabile ritardo) il tuo corpo capisce che non ci sono più azioni da fare e comincia a rilassarsi. 

L’occasione di sperimentare un cambiamento dello stato di tensione mentale e fisica come unica conseguenza della scelta di accettare la realtà è già un buon motivo per essere grati. 

Il passaggio da uno stato di disagio ad uno di calma, la possibilità di osservare gli altri automobilisti che ancora lottano con la frustrazione, l’occasione di osservare paesaggi e panorami che altrimenti avresti sicuramente ignorato sono ulteriori motivi per cui vale la pena di essere grati.

La gratitudine non c’entra con il buonismo, ma con la capacità di ristrutturare cognitivamente le informazioni che arrivano ai nostri sensi in modo da garantire sempre al nostro corpo il massimo livello di funzionalità. Si tratta di economia in grande stile! Nonché di un buon modo per allinearsi con l’emisfero destro del cervello.

Nella vita di tutti i giorni, è fin troppo facile identificarsi eccessivamente con l’interprete dell’emisfero sinistro. Quando qualcuno ti sorpassa nel traffico, probabilmente senti immediatamente un’ondata di rabbia. Quando rimani bloccato in un ingorgo, è naturale maledire quelli dei lavori stradali. Ma ricorda, l’interpretazione di questi eventi come “cattivi” è generata dal tuo cervello sinistro ed è questa interpretazione che ti fa soffrire.

Provando più compassione e gratitudine e realizzando che il “tu” sofferente è solo un costrutto di metà del tuo cervello forse sarai in grado di vivere una vita meno piena di stress, di ansia e di sofferenza mentale. 

Un consiglio pratico: prova a passare una giornata intera senza lamentarti.

L'opposto della gratitudine è la lamentela. E, purtroppo, nella nostra società, lamentarsi è diventata una forma comune di interazione sociale. Chi si lamenta sembra quasi essere più intelligente, perché maggiormente capace di riconoscere tutte le cose che non vanno. Tuttavia è solo un’illusione. 

Mi rendo conto che compassione e gratitudine sembrano essere concetti troppo vicini alla morale, all’etica o alla religione piuttosto che alle neuroscienze, tuttavia se osservati meglio non sono poi così diversi da quella tecnica che gli psicologi chiamano ristrutturazione cognitiva.

L’approccio empirico è sempre il migliore: prova a passare un’intera giornata senza lamentarti con nessuno, e se ci riesci prova a non lamentarti neanche mentre parli con te stesso durante i tuoi dialoghi interiori.

Prova a farlo per qualche giorno e poi verifica se questa scelta comportamentale ha avuto dei benefici sul tuo umore oppure no. Se ti senti meno ansioso, meno stressato e meno depresso.

La realtà là fuori è sempre la stessa, ma se tu non hai buttato via le tue energie stressandoti inutilmente forse hai più forza per affrontarla meglio.

 

Per maggiori info: No Self, No Problem: How Neuropsychology Is Catching Up to Buddhism di Chris Niebauer