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La dipendenza digitale o la dipendenza da smartphone aumenta la solitudine, l'ansia e la depressione.

 

dipendenza dai social
La dipendenza dallo smartphone e dai social come Facebook, Twitter, Instagram e Whatsapp, non è diversa da qualunque altra dipendenza. Promette di farci stare meglio distraendoci da solitudine ansia e depressione, ma alla fine la solitudine, l'ansia e la depressione non fanno altro che aumentare.

Lo smartphone è ormai una estensione di noi stessi, un modulo di memoria che raccoglie informazioni, foto e video; un dispositivo di connessione di massa. Perdere lo smartphone è come perdere un pezzo della nostra vita vissuta (soprattutto se non hai deciso di salvare automaticamente i dati nel cloud). Anche dal punto di vista professionale è quasi impossibile mantenere i contati di lavoro senza utilizzare servizi come Whatsapp o Facebook. È molto più comodo, immediato e soprattutto gratuito. Tuttavia, c'è un rovescio della medaglia. Siamo completamente dipendenti da ogni forma di gemito che il nostro smartphone emette, come solo una neo mamma può esserlo nei confronti del pargoletto appena nato che piange nella culla. Solo per fare un esempio, da quando ho scritto le prime parole del titolo di questo articolo il mio smartphone, che tengo a circa 4 metri di distanza, ha emesso almeno tre richieste di attenzione: una vibrazione  e due bip. Al primo bip mi sono alzato per verificare che non si trattasse di un urgenza, mentre ho deciso di ignorare gli altri due richiami. Infondo, mi sono detto, sto scrivendo un articolo sulla dipendenza da smartphone e non riesco a resistere alla curiosità di vedere cosa vuole il mio telefono! In realtà posso decidere di non alzarmi per controllare, tuttavia sento che una parte del mio cervello è ancora lì, fissa a pensare "chi sarà?" "cosa sarà successo?" È veramente gratuito tutto questo? O ha comunque un costo, soprattutto in termini di risorse mentali? Il rovescio della medaglia di questa convenienza dunque consiste nel fatto che molti di noi sono (completamente) dipendenti dai continui messaggini, squilli, vibrazioni che provengono dai vari dispositivi, incapaci di ignorare nuove e-mail, video o immagini buffe. In una nuova ricerca si sostiene che l'abuso da smartphone è paragonabile all'abuso di qualsiasi altro tipo di sostanza psicoattiva. La dipendenza comportamentale dall'uso di smartphone inizia a formare connessioni neurologiche nel cervello in modo simile a come viene vissuta la dipendenza da oppioidi dalle persone che assumono morfina per alleviare il dolore. Oltre a questo, la dipendenza dalla tecnologia dei social media potrebbe effettivamente avere un effetto negativo sulla connessione sociale. Si è visto infatti, in un sondaggio condotto su studenti, che chi utilizzava con maggiore frequenza lo smartphone era anche maggiormente esposto al rischio di provare solitudine, ansia e depressione. Solitudine derivante probabilmente dalla insoddisfazione per rapporti sociali che non possono in alcun modo compete con le relazioni faccia a faccia. Entrare in relazione con l'altro è sicuramente una delle esperienza più gratificanti che si possa sperimentare, tuttavia comporta una serie di rischi e di difficoltà, prima tra tutti la paura del rifiuto. Per aggirare queste paure ci si può rifugiare in un mondo fatto di relazioni virtuali però, più tempo passiamo nel coltivare i contatti dei social meno ci sentiamo capaci di gestire la inevitabili frustrazioni che caratterizzano i rapporti faccia a faccia. Il risultato è che di solito ci si sente impreparati a gestire dei rapporti sociali normali e, contemporaneamente, delusi dalla sterilità del mondo virtuale. Ci si sente impotenti e soli, a volte ansiosi ma più spesso depressi. Dal punto di vista cognitivo la dipendenza digitale ci impone uno stato di costante multitasking. Studio ma guardo un video su youtube, mangio ma controllo la posta, parlo con un vecchio amico ma verifico le notifiche di Facebook. E quando cerco di riposare... lo squillo o la vibrazione mi riattiva anche se non voglio; sono in semi-tasking. Non sono in salvo neanche se esco e decido di lasciare il telefono a casa. Vado al parco e sento uno squillo che è simile al mio (ormai sono condizionato come il cane di Pavlov), controllo nelle tasche del giubbetto e solo dopo che tutto il mio sistema motivazionale è entrato in allerta mi ricordo che ero li per rilassarmi. Inoltre, ultimamente mi è capitato di notare che anche alcuni spot pubblicitari, soprattutto alla radio, utilizzano suoni simili alle notifiche dei nostri telefoni. Probabilmente hanno bisogno di riattivare l'attenzione del distratto ascoltatore - consumatore.

Di chi è la colpa se stimo diventando drogati di social network e lo smartphone è diventato la nostra siringa?

Mi piacerebbe pensare che sia solo ed esclusivamente responsabilità dell'industria "tech" e di chi la utilizza per aumentare i profitti aziendali. È ovvio che le aziende stanno manipolando i nostri bisogni primari e le nostre risposte biologiche al pericolo per scopi economici, lo hanno sempre fatto. Chi vende pubblicità sa bene che una notifica push, attiverà un meccanismo di controllo che non è molto diverso, dal punto di vista dei percorsi neuronali, da quello che un tempo si attivava per allertarci in vista di un imminente attacco da parte di qualche animale pericoloso. Siamo costretti a controllare, prendiamo il telefono nel timore che sia una brutta notizia o nella speranza che la ragazza che ci piace abbia deciso di rispondere all'invito ed invece è solo l'ennesima pubblicità di biscotti. Cancelliamo il messaggio infastiditi, ed intanto quella marca di alimenti è già un po' più familiare. Volenti o nolenti il nostro cervello ha comunque registrato il messaggio e gli effetti si vedranno mesi dopo nei bilanci delle vendite. Ecco (banalizzato) il neuro-marketing. La nostra responsabilità (o se vogliamo il nostro errore) risiede nel supporre che tutto ciò sia perfettamente sotto controllo. Il ragionamento è lo stesso che fanno di solito i fumatori, o gli alcolisti: sono io che ho il controllo, posso farne a meno quando e come voglio. È solo che ora non lo voglio!

Cosa fare per tenere sotto controllo la dipendenza da smartphone o da social network?

Le strategie sono molte, e limitate solo dalla fantasia: disattivare le notifiche, rispondere ai messaggi e alle mail solo in momenti specifici della giornata o, per i più integralisti, chiudere gli account sui social. Tuttavia, come per gli alcolisti anonimi, forse il primo passo consiste nel rendersi conto (facendo esperimenti su se stessi) di quanto dipendiamo da queste tecnologie. Se ci accorgiamo di essere dipendenti, ammetterlo è la cosa migliore. Una volta identificata la presenza di un problema di dipendenza (che nella maggior parte dei casi è ad un livello sub-clinico) è necessario prendere consapevolezza dei meccanismi con i quali funziona la nostra macchina per pensare. Quali sono le sue debolezze e quali le sue risorse. I progettisti dei social e gli esperti del marketing spendono molti soldi per trovare strategie sempre più efficaci finalizzate a generare in noi il "bisogno". Spesso per ottenere tali risultati non esitano a sfruttare le debolezze dei nostri automatismi evolutivi. Il nostro compito consiste dunque nel capire (ed accettare) che una parte di noi, in verità una parte piuttosto significativa, agisce seguendo degli automatismi che sono "manipolabili" dall'esterno. Se siamo consapevoli dei meccanismi e delle debolezze del nostro cervello la parte razionale può lavorare in modo più efficace nel limitare i danni di quella "automatica". Un buon punto di partenza per approfondire questi argomenti è quello spende alcune ore nella lettura di un illuminante libro che mi è recentemente capitato tra le mani, il titolo è Elogio della Fuga di Henri Laborit. Per chi non avesse voglia di leggere basteranno cinque minuti di attenzione nel visionare il seguente filmato: https://www.youtube.com/watch?v=iVcJY5PbCH4 Link Fonte