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Mente e corpo: il potere delle parole e dell'immaginazione.

Mente e corpo sono una cosa sola. Le nostre parole e i nostri pensieri sono automaticamente "incarnati" nel corpo.

Per chi, come me, ha scelto una professione che pretende di curare le malattie psicologiche solo attraverso le parole esperimenti come quello che sto per riportare rappresentano un valido esempio utile a far comprendere quanto mente e corpo siano interdipendenti. Se hai l'ansia, gli attacchi di panico o sei depresso quello che molto probabilmente vuoi è guarire subito. Dimenticarti della sofferenza. E se decidi di provare una terapia psicologica, con o senza il supporto farmacologico, la domanda che più spesso ti fai è: ma come possono le sole parole curarmi? saranno sufficienti per modificare situazioni dolorose che durano da anni? o forse sto buttando via i miei soldi in "chiacchiere"? In effetti per avere un'idea più precisa di come e quanto i pensieri (cioè le parole che ci diciamo da soli "internamente") sono capaci di influenzare la nostra vita e la nostra salute sarebbe necessario uno studio approfondito sulla letteratura scientifica degli ultimi 50 anni. Purtroppo il legame mente corpo descritto dalla maggior parte di questi studi è spesso troppo tecnico per poter essere raccontato in modo semplice e chiaro. Si parla a volte di epigenetica, di molecole, di parti anatomiche del sistema nervoso e di meccanismi biologici di una complessità tale che, appena compresi, tendono ad essere espulsi dalla memoria (almeno dalla mia). In questo studio, al contrario, il fenomeno descritto è semplice. Anche in questo caso, dietro la semplicità si nascondono complicate relazioni, ma fortunatamente non è necessario doverle comprendere per poter apprezzare ciò che ci interessa di più, e cioè la capacità delle parole di influenzare lo stato corporeo. La ricerca, pubblicata  il 14 Giugno 2017 su Psychological Science, afferma che è sufficiente leggere o ascoltare parole il cui significato sia legato a maggiore o minore luminosità per poter notare un effetto diretto sulla dilatazione delle pupille. In pratica se ascolto, o se leggo, le parole "sole", "fascio di luce", "fuoco" allora le mie pupille si contraggono come per proteggere l'occhio da un eccesso di luminosità. Al contrario ascoltare o leggere parole che richiamano il concetti di oscurità come "notte", "tenebre", "buio", ecc... provoca la dilatazione delle pupille. L'occhio si predispone ad un ambiente non appena questo viene evocato dal linguaggio.
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L'ipotesi dei ricercatori è che il cervello genera in automatico immagini mentali a partire dalle parole udite o lette. E che, in conseguenza della generazione di tali immagini, il corpo reagisce per gestire quello che ipotizza essere lo scenario da affrontare nell'ambiente esterno. E si, perché il cervello è chiuso al buio in una scatola ossea, e da li deve programmare le strategie finalizzate alla sopravvivenza. Dal punto di vista del cervello quindi ogni informazione rappresenta un indizio utile ad "aggiustare il tiro". La parola "sole" è automaticamente collegata a numerose immagini mentali, ricordi, sensazioni e stati corporei. E questo collegamento, stando a quanto emerge dai dati della ricerca, è sufficiente per attivare una modifica corporea, chiaramente finalizzata all'adattamento. La ricerca è sicuramente importante per comprendere i meccanismi relativi all'apprendimento del linguaggio, ma in questa sede è più utile riflettere su altri aspetti: se ascoltando la parola "sole" a distanza di pochi secondi le mie pupille si restringono, cosa succede nel mio corpo quando per ore e ore sono intento a ruminare sulla maleducazione del collega, sulla scortesia del capo, sull'ingiustizia della burocrazia? Che legame c'è tra quello strano senso di malessere, in continua oscillazione tra l'ansia il panico e la depressione, e le scale (o qualsiasi altro stimolo collegato ad eventi stressanti) che devo fare ogni mattina per arrivare in ufficio? Ed, infine, cosa succede nel mio corpo quando riesco a distrarmi facendo una passeggiata. O quando, grazie alla pratica di tecniche specifiche (rilassamento, mindfulness, ecc...), riesco ad essere cosciente di quel flusso di parole e discorsi prodotti ininterrottamente dal mio cervello a prescindere dalla volontà? Una delle cose più belle che ho scoperto è che quando accetti il cervello per quello che è, cioè una fantastica macchina per la sopravvivenza, riesci anche ad essere benevolo nei confronti dei suoi limiti e delle sue imperfezioni e smetti di arrabbiarti con te stesso. Le così dette "paranoie", infatti, altro non sono che la produzione di possibili scenari di pericolo nei quali potremmo essere coinvolti e la progettazione di strategie di difesa finalizzate a garantirci la sopravvivenza. Grazie a questa capacità ci siamo evoluti. Il problema è che per un tempo lunghissimo, dal punto di vista evolutivo, quando nell'ambiente veniva percepito un pericolo ciò avveniva raramente e di solito era seguito da una minaccia reale. Nella vita moderna, al contrario, gli stimoli legati a possibili minacce sono infiniti e i pericoli reali difficilmente contrastabili. Non è dunque colpa del nostro cervello se si trova in uno stato di costante allarme, e se a causa di ciò tende sempre più a spaventarsi e a spaventarci. Lui in fondo è progettato per questo. Se ci sono indizi di pericolo il cervello reagisce con le emozioni, schemi arcaici di sopravvivenza, che predispongono il corpo a determinati comportamenti nell'ottica di salvare le penne. E se gli indizi di pericolo sono solo pensati, immaginati, o magari visti alla tv? Stessa cosa, quando ci spaventiamo guardando un film dell'orrore le sostanze che vengono "sparate" nel corpo non sono diverse da quelle che verrebbero prodotte in caso di un'aggressione reale. Sta a noi, e cioè alla parte cosciente, accettare che la maggior parte delle decisioni viene presa da meccanismi automatici di gestione. Meccanismi a volte arcaici e non aggiornati. Il problema è che la parte cosciente è, dal punto di vista computazionale, lenta ed estremamente avida di risorse. Non può competere con la velocità degli schemi appresi se non attraverso l'uso di "trucchi" e colpi bassi. Per fare un esempio, sappiamo che il nostro organismo è predisposto per dare la precedenza a cibi ricchi di zuccheri e di grassi. E lo è per motivi, anche in questo caso, evolutivi. Ha poco senso lamentarsi di non avere forza di volontà nella scelta dello spuntino pomeridiano se si dispongono le merendine ad altezza occhi e la frutta nel cesto in basso. Un buon utilizzo della funzione cosciente del cervello dovrebbe tener conto della naturale predisposizione per zuccheri e grassi e della naturale pigrizia (economia energetica) del nostro sistema automatico. Cosa fare dunque? Per prima cosa riconoscere i meccanismi automatici: preferenza data a zuccheri/grassi e pigrizia congenita (economia energetica). In secondo luogo creazione della strategia: la frutta già tagliata ad altezza occhi e le merendine in un posto scomodo e faticoso da raggiungere (ancora meglio evitarne l'acquisto). Ed in fine, creazione dell'abitudine: dedicare un momento della giornata alla predisposizione della strategia (ex. tagliare la frutta la mattina sempre alla stessa ora). Fatto ciò vi accorgerete che di fronte al frigo aperto il gesto di prendere la frutta sarà automatico. Link Fonte